
Grazie a don Augusto Bormolini e a Loris Guzzi, rispettivamente vicedirettore e operatore della Caritas diocesana di Como in Valtellina, la studentessa universitaria Martina Scherini di Chiuro ha svolto una ricerca “sul campo” per conoscere e approfondire il tema dell’ascolto e dell’accoglienza delle persone straniere in Valtellina.
Sono Martina Scherini, ho 22 anni e frequento il terzo anno di Scienze del Servizio Sociale all’Università Cattolica di Milano.
Come ogni anno allo studente viene proposta un’esperienza diretta sul campo in cui potersi sperimentare e in cui poter apprendere al meglio la professione dell’assistente sociale.
Il primo anno ho svolto la mia esperienza di pre-tirocinio di 75 ore, presso la cooperativa sociale Altra Via a Sondrio, che ha lo scopo di programmare e organizzare l’accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione, assicurando loro assistenza sociale e residenziale.
Il secondo anno ho svolto l’esperienza di tirocinio di 250 ore, da marzo a maggio, presso il Ser.D. di Sondrio, che si occupa di persone, minori e adulti che presentano problemi e patologie legati a situazioni, uso o dipendenza da sostanze legali e illegali oppure dal cosiddetto GAP (gioco d’azzardo patologico).
Il terzo anno invece, è previsto uno stage che si configura come un’esperienza di apprendimento, analoga all’approccio del Service Learning, in cui lo studente offre a una comunità locale, a un servizio pubblico, a un’Organizzazione di Terzo settore la propria collaborazione al fine di pensare, organizzare e realizzare un progetto di intervento partecipato su micro problematiche rilevanti di interesse comune.
Le attività di stage tendono alla pianificazione e realizzazione di progetti innovativi e sperimentali in partnership con assistenti sociali e operatori dei servizi, referenti di organizzazioni di volontariato, cittadini, utenti e familiari esperti per esperienza.
A partire da un interesse, da un’idea progettuale propria, gli studenti individuano altri possibili soggetti interessati a collaborare alla realizzazione del progetto negoziando gli interventi opportuni e se necessario, ridefinendo le finalità progettuali in maniera condivisa, tenendo conto del contributo dei vari partner, che andranno a costruire il cosiddetto “gruppo guida”.
A tal proposito, durante il mese di novembre, ho iniziato a effettuare il profilo di comunità: si tratta di un assessment (valutazione, ndr) delle motivazioni e delle preoccupazioni, durante il quale si individuano e conoscono bisogni, preoccupazioni, rischi presenti, desideri, aspettative, risorse…
Dapprima mi sono rivolta al parroco di Tresivio, don Augusto Bormolini, e vicedirettore della Caritas di Como. Fin dal primo incontro con don Augusto Bormolini mi è stato possibile farmi un quadro, seppur ancora sfocato, delle diverse problematiche che possono e devono essere prese in considerazione dal Servizio Sociale in questa nostra città.
Tra le altre è emerso che il bisogno che egli avverte quotidianamente nella realtà valtellinese in cui si muove è quello relativo allo stigma e al pregiudizio nei confronti delle persone di diversa etnia e provenienti da altri Paesi.
Mentre la comunità locale si è mostrata generosamente accogliente verso i profughi ucraini, offrendo ospitalità e adoperandosi a favore delle vittime della guerra, non è questo l’atteggiamento tenuto nei confronti delle persone provenienti dai Paesi africani. Queste ultime sono etichettate come “diverse” e considerate persino pericolose in quanto se ne ignorano completamente la cultura, le usanze… che appaiono strane, incomprensibili e dunque sbagliate.
Con l’aiuto di don Augusto, ben informato della situazione locale, ho cominciato a ricercare delle persone che avessero a cuore il desiderio di superare, o almeno ridurre, tale stigma e si associassero a me nel cercare una qualche soluzione. Ho incontrato così Loris Guzzi che è il coordinatore del Centro di Ascolto Caritas di Sondrio, che subito si è mostrato molto interessato e disponibile nei miei confronti.

Dopo alcune settimane, e dopo aver conosciuto molto persone, ognuna con il proprio vissuto e con diverse esigenze, ho preso contatto con la signora Elias Adesuwa, donna africana di 44 anni, mostratasi anche lei fortemente motivata a collaborare concretamente al progetto.
Nelle settimane a seguire, io, Loris e la signora Elias, dopo aver catalizzato il gruppo guida, ci siamo incontrati con maggiore frequenza, così da poter approfondire la nostra conoscenza e successivamente delineare il progetto.
Al fine di promuovere il benessere delle persone straniere e la sensibilizzazione all’interno del territorio, abbiamo messo in atto diverse azioni, e la più rilevante è stata sicuramente quella riguardante l’apericena interculturale organizzata il 29 maggio a Tresivio nel piazzale della chiesa parrocchiale, con l’obiettivo di favorire momenti di convivialità e di socializzazione, promuovendo e facilitando la costruzione di legami sociali.
Ogni partecipante ha cucinato un cibo tipico del proprio Paese attribuendo a ogni pietanza un significato: il cibo dolce rimanda agli aspetti positivi che la persona associa alla nuova vita nel contesto italiano, il cibo piccante allude alle diversità che le persone incontrano nel Paese in cui vengono accolti, e il cibo amaro sta a indicare tutte le difficoltà, le delusioni, i pregiudizi e le disuguaglianze con cui lo straniero si scontra quotidianamente.
In maniera analoga anche i partecipanti italiani hanno cucinato cibi dolci, piccanti e amari, attribuendo a ognuno di essi un significato derivante dall’incontro con le persone straniere, mettendo in luce gli aspetti positivi e le difficoltà riscontrate nell’incontro con persone aventi cultura, religione e modi di vivere differenti.
Con mia grande soddisfazione, all’apericena hanno preso parte moltissime persone, cosicché è stato un momento importante di socializzazione che ha permesso a ognuno di noi di entrare in contatto, come ho già detto, con culture differenti e tuttavia affascinanti, nella condivisione di cibi tipici del loro e del nostro Paese, ovviamente in un clima caratterizzato da serenità e allegria e dove, tuttavia, ogni partecipante ha avuto la possibilità di dare voce al proprio pensiero.
Mi è rimasta impressa una frase pronunciata da un presente che ha detto: “il poco condiviso diventa molto”. In questo c’era tutto il senso del nostro stage che, come si è visto, è stato capace di offrire un’occasione di piacere e di spontaneità, lontana da ogni paludamento retorico, e soprattutto ha coinvolto attivamente ogni partecipante da entrambe le parti.
Per facilitare il tutto e per questioni pratiche, tenuto conto che spesso le persone straniere hanno difficoltà a scrivere in lingua italiana, abbiamo pensato di dedicare del tempo a coloro che avevano dato la loro adesione, così da cogliere direttamente il significato che avrebbero voluto attribuire al cibo dolce, amaro e piccante e di trascrivere il tutto su alcuni bigliettini che sarebbero poi stati applicati su tre grandi cartelloni appesi come sfondo all’apericena.
Gli incontri di supporto si sono svolti nelle giornate di mercoledì 8 maggio, lunedì 13 maggio e mercoledì 22 maggio.
Ogni momento di scambio e di confronto con persone appartenenti a minoranze etniche è stata un’occasione di arricchimento e di conoscenza. In linea generale è emerso che le persone straniere attribuiscono al cibo dolce le maggiori opportunità e possibilità lavorative, la sicurezza, la sanità, ma anche aspetti che potrebbero sembrare scontati come la presenza dell’acqua, dell’elettricità, del cibo…
Gli aspetti riconducibili al cibo piccante messi in luce durante gli incontri di supporto sono legati alle numerose regole, all’accettazione delle diversità, ma anche a questioni pratiche come la difficoltà di trovare un’abitazione, i numerosi documenti richiesti, la lingua, le difficoltà relazionali e la tecnologia; oggi infatti sono sempre di più i contesti in cui è necessario possedere lo Spid, ovvero il sistema di autenticazione che permette a cittadini e imprese di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione con un’identità nazionale. Alcune persone hanno inoltre sottolineato che anche la mancanza di affetti e di usanze del proprio Paese sono aspetti riconducibili al cibo piccante.
Quando invece essi hanno scelto di cucinare cibo dal sapore amaro, hanno voluto sottolineare come vengano spesso avvertiti in vari contesti pregiudizi, disuguaglianze e mancanza di rispetto nei loro confronti e nell’ambito lavorativo e nei luoghi di svago e in quelli adibiti allo sport.
Come ogni progetto anche questo ha presentato punti di forza e di criticità.
Credo di poter riconoscere i primi innanzitutto nella personalità e nella preparazione, intesa come conoscenza del problema su cui si intende agire, di Loris Guzzi che non è mai mancato a nessun incontro, dove ha costantemente portato – oltre alla sua grande esperienza – anche un entusiasmo e un vivo desiderio di raggiungere i risultati sperati.
Altrettanto importante e significativa la partecipazione della signora Elias Adesuwa, anch’essa motivata da un appassionato desiderio di mettere in atto un’azione concreta, nella speranza di arrivare a risultati di un certo livello.
Modestamente ritengo di aver fatto anche io la mia parte nel gruppo, nel ruolo di facilitatore e di guida relazionale.
Sebbene la mia esperienza sul campo fosse, a fronte di quella di Elias e Loris, abbastanza modesta e recentemente, fin dall’inizio e sin dai primi incontri con loro ho sentito dentro di me, in primo luogo, il desiderio di fare qualcosa, di agire concretamente nei confronti di questi nostri nuovi concittadini.
La più grande criticità è invece rappresentata dalla difficoltà di capirsi, data la mancanza di una lingua che permetta una sicura comprensione vicendevole.
Ho vissuto questo stage con vivo entusiasmo e, sebbene mi sia costato una discreta fatica soprattutto per le reali difficoltà di comunicazione e un notevole coinvolgimento psicologico, ritengo di averne tratto grande soddisfazione.
Ringrazio di cuore tutte le persone che ho incontrato e che si sono fidate di me sin da subito. In particolar modo ringrazio don Augusto, Loris e la signora Elias.
“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini attenti e impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta” (Margaret Mead, antropologa culturale americana).
“A livello individuale, siamo una goccia. Insieme siamo un oceano.” (Ryunosuke Satoro, scrittore giapponese).
Martina Scherini
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