Pubblicato il: 20/01/2021Categorie: Editoriali, NewsTag: ,
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20 gennaio 2021 – “Casa Nazareth” è diventata una realtà. Non soltanto a uso della Caritas diocesana, che ne ha assunto attraverso la sua Fondazione la titolarità legale, ma come dono ricevuto che può e deve diventare strumento di tutta la nostra Chiesa diocesana.

Il primo elemento che invito a tenere in considerazione perché questa diocesanità possa concretizzarsi è quello di capire – e se possibile condividere – il cammino che ha portato la Caritas diocesana a cercare una struttura stabile dove dar vita ad alcune realizzazioni caritative.
Facendo un po’ di cronistoria, questo bisogno – e di conseguenza la ricerca di spazi – è  avvenuto all’intero del cammino complessivo della nostra Chiesa diocesana che, attraverso figure carismatiche, è sempre stata attenta alla dimensione della carità, anche se in questi ultimi anni per questo impegno ha dovuto pagare un prezzo alto: da una parte, l’esercizio della Carità concreta e dell’apertura agli ultimi ha spaccato profondamente la vita delle nostre comunità, che spesso si sono divise su una linea comune da tenere; dall’altra la fedeltà di tanti alle persone povere ha fatto pagare alla nostra Chiesa diocesana un tributo alto di vite umane, persone che si sono donate totalmente ai fratelli.

Il secondo elemento è la consapevolezza che la nostra Chiesa vive in un territorio molto complesso, che in questi ultimi anni ha dovuto subire un cambiamento radicale che ha minato alla base sia le regole che guidavano la nostra società civile, sia il modo di proporre un cammino ecclesiale.
Il cambiamento non è stato capito fino in fondo e spaventa la nostra Chiesa, che si sta rinchiudendo in se stessa: è sotto gli occhi di tutti la fatica che facciamo per incarnare e trasmettere nella nostra società il messaggio evangelico di salvezza; e se posso esprimere una mia impressione, anche il Sinodo, che dovrebbe essere il momento più alto di questo rinnovamento, sta faticando molto a trovare la sua strada.

Il terzo elemento è dettato dall’urgenza di questa trasmissione del messaggio che è universale e si basa sulle virtù teologali Fede, Speranza e Carità, un messaggio che non può essere annacquato ma, per essere efficace e credibile agli uomini e alle donne di oggi, deve saper parlare con la lingua del nostro tempo.

Un ultimo elemento è il bisogno che abbiamo – almeno per la città di Como – di uscire dai particolarismi, che spesso ci mettono uno contro l’altro, e per superare questo ostacolo ci servono dei luoghi di impegno comuni, in cui tutti – parrocchie gruppi ecclesiali, aggregazioni di persone che si uniscono su problemi particolari – imparino a mettere a disposizione le proprie particolarità a servizio di un bene comune per spendere a favore di uomini e donne partendo proprio da chi è più emarginato.

Ma torniamo a “Casa Nazareth”.
Da quest’anno una felice coincidenza – la disponibilità delle suore Adoratrici e l’impegno del nostro Vescovo che si è fatto portavoce di questo bisogno – ci ha permesso di avere in uso questa bellissima struttura, che da più di cento anni è un luogo aperto alla ospitalità di persone in difficoltà e che nell’ultimo periodo, a causa della “fatica” delle suore, non era più in grado di continuare questo servizio. “Casa Nazareth” parte proprio da questo dono fatto da donne che hanno consacrato la loro vita all’adorazione eucaristica e al servizio dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, dono che a noi della Caritas ha fatto riflettere molto: la diocesi ha ricevuto un patrimonio non soltanto di muri ma soprattutto di tante storie di vita, per far sì che attraverso il nostro servizio non andassero perse, ma potessero ridiventare strumento di aiuto e di evangelizzazione per tutta la Chiesa.

Così “Casa Nazareth” di via San Guanella 12 è per tutti noi il simbolo di quella organizzazione che in questi anni si è costruita con l’apporto di tanti e che ha fatto sì che nella nostra città – ma soprattutto nella nostra diocesi – si creasse una rete informale di persone e di luoghi deputati alla accoglienza, alla riflessione e alla concretizzazione di un percorso caritativo. Porto come esempio “Casa di Lidia” di Morbegno, i Centri di Ascolto, “Porta Aperta”, le Caritas parrocchiali, i dormitori annuali e le realtà per l’Emergenza freddo, la nuova mensa unica attiva da pochi giorni proprio a “Casa Nazareth”, tutta la vasta rete che ha permesso l’accoglienza dei profughi, non ultimi i tantissimi volontari coinvolti ai quali rivolgo il mio saluto e il mio grazie di cuore. E, non ultimo, non posso non ricordare anche le varie fasi di attuazione del Fondo diocesano di Solidarietà che ha permesso l’aiuto a tante famiglie in difficoltà economica causata dalla pandemia e che continuerà la sua attività anche per tutto il 2021.

Si potrebbe obiettare che forse di fronte a questo quadro non si vede la necessità di una ulteriore struttura. Invece, proprio perché le iniziative sono tante e parcellizzate, proprio per la particolarità delle nostre comunità che difficilmente riescono a dialogare tra di loro e a integrarsi in un cammino comune in cui mettere a disposizione le capacità di ognuno a servizio degli altri, “Casa Nazareth” all’interno della nostra diocesi può diventare uno dei luoghi privilegiati in cui si sperimenta questa unità di intenti, questa capacità di rendere visibile il bene comune, come papa Francesco ci esorta a fare.

Il primo passo fatto a “Casa Nazareth” è stato molto concreto. Ci siamo mossi tenendo presente le necessità sul territorio, così abbiamo messo a punto il primo servizio: l’apertura l’8 gennaio di una mensa comune che permette di unificare le tre mense già  esistenti in città. Il funzionamento di questa mensa è possibile con l’apporto di operatori e volontari delle mense esistenti che collaboreranno gestendo in comune questo indispensabile servizio.

Sulla base di questo importante inizio “Casa Nazareth” può diventare un luogo di sperimentazione per costruire un cammino unitario di carità, basato sulla collaborazione e sulla condivisione delle diverse competenze caritative.
Ma soprattutto può diventare uno strumento a nostra disposizione che ci dia la possibilità di sperimentare e di vivere un cammino di forte spiritualità e di formazione a una mentalità caritativa a servizio di tutta la comunità ecclesiale a favore non solo della città ma dell’intera diocesi.

Credo che se  vogliamo darci un futuro sta a noi accettare la sfida e incominciare a riflettere e a lavorare per costruire una nuova convivenza.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como

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