10 settembre 2012 – Femi Alabi aveva 24 anni e abitava a Berbenno presso la casa parrocchiale di Polaggia.
Era un profugo nigeriano fuggito come tanti dalla Libia parecchi mesi fa.
Femi aveva visto la sua famiglia distrutta da un attentato in Nigeria ed era rimasto solo.
Solo, in fuga dalla guerra.
In Italia aveva ritrovato la voglia di vivere, speranza, accoglienza, nuovi amici.
Femi amava giocare a pallone, era la sua grande passione.
Il calcio era per lui motivo di riscatto, un’occasione per inserirsi bene nella nostra comunità.
Venerdì sera, 31 agosto, Femi Alabi è morto, travolto da un treno mentre stava camminando sulla linea che da Sondrio porta a Berbenno, di ritorno da un allenamento.
Nel buio quel treno è arrivato all’improvviso e Femi non è riuscito a scansarsi in tempo dalle rotaie.
La morte di Femi mi ha profondamente colpito e ha sconvolto l’intera comunità di Berbenno.
Poiché era impossibile rimandare il corpo del giovane in Nigeria, il parroco di Berbenno don Feliciano ha voluto celebrare giovedì scorso i funerali cristiani (Femi era cristiano) nella chiesa parrocchiale e ora Femi riposa in pace nel cimitero del paese.
Il funerale è stato un momento molto intenso di preghiera e di raccoglimento, che ci ha fatto superare la differenza di nazionalità e di cultura. Quel giorno ci siamo sentiti vera comunità.
La chiesa era gremita di persone. Oltre ai parrocchiani, soprattutto giovani, c’era la presenza di tanti connazionali di Femi, con una delegazioni di profughi provenienti da Como accompagnati da don Giusto, che hanno così voluto portare l’ultimo affettuoso saluto a quel giovane uomo benvoluto da tutti.
Anch’io ero presente alle esequie.
Tanta dimostrazione di affetto e di solidarietà mi ha umanamente toccato.
E mi ha fatto riflettere.
Durante l’emergenza libica, Berbenno – con altre comunità parrocchiali della nostra Diocesi – si era mobilitata e da più di un anno ospita alcuni profughi.
Il loro arrivo e la loro presenza, all’inizio non senza qualche difficoltà, si sono rivelate una ricchezza per tutti.
E non solo perché questi giovani erano e sono impegnati in lavori socialmente utili, ma perché con il passare del tempo si sono perfettamente integrati nella comunità locale, che ha avuto la forza e il coraggio di aprirsi al dialogo e di accettare l’“altro” così come è, senza pregiudizi, egoismo e preclusioni.
Femi, dopo aver perso tutto, a Berbenno aveva trovato una “famiglia allargata” che lo ha accudito e amato come un suo figlio.
E’ il coraggio dell’amore fraterno.
E’ la fecondità del seme caduto che non muore se viene piantato nella buona terra e non può che far nascere una pianta rigogliosa, che anche in futuro darà i suoi frutti.
Berbenno è l’esempio lampante che la convivenza è possibile.
E che soltanto la convivenza di diverse culture può portare ricchezza e una nuova speranza.
Oggi e domani.
A Berbenno, come in ogni angolo della nostra vasta Diocesi.
Ciao Femi. Grazie di essere stato con noi.
Roberto Bernasconi, direttore Caritas diocesana di Como
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