Mercoledì 15 luglio scorso si è svolto nella chiesa di Sant’Agata a Como il funerale di Stefan, una persona senza dimora che da molti anni viveva nella nostra città. Presenti alla funzione anche alcuni operatori e volontari della Caritas diocesana di Como che l’avevano conosciuto in questi anni attraverso i servizi cittadini dedicati alla grave marginalità. Pubblichiamo una riflessione ricordo del direttore della Caritas, Roberto Bernasconi.
25 luglio 2020 – La vita nel suo cammino ordinario ci ricorda che la nostra condizione umana è fatta di precarietà e, proprio per questo, ci chiede di vivere la nostra esistenza pienamente coscienti di essere parte di un cammino complessivo della umanità, che sarebbe monco se mancasse la nostra esperienza sia personale sia comunitaria.
Questo è l’insegnamento che ci viene dalla vita di Stefan, persona apparentemente insignificante che in tante occasioni poteva sembrare addirittura scostante, perché il suo stare seduto quasi tutto il giorno sulla porta di Sant’Orsola era una spina nel fianco dei tanti che passavano indaffarati da tanti impegni o anche dei volontari o delle persone di buon cuore che si avvicinavano a lui proponendogli aiuti che lui rifiutava.
Credo che Stefan, invece, avesse un compito ben preciso all’interno della nostra società super efficiente, anche se forse non ne era cosciente fino in fondo. Il suo compito era di testimoniare con la sua presenza la vita di tante persone come lui che stanno ai margini della nostra città, ne occupano gli spazi che a noi non servono più e la loro presenza ci inquieta, perché ci ricorda la caducità e la debolezza di ciò che abbiamo costruito in questi anni: basta un virus per mettere in discussione quelle che ritenevano conquiste solidificate.
Stefan con la sua morte, arrivata in punta di piedi, non ha messo in ulteriore difficoltà nessuno, ci ha voluto fare un regalo, ci sta aiutando a fare una riflessione sul senso e sul valore della vita, sul valore dell’amicizia, e sul bisogno che tutti abbiamo di vedere l’altro, il diverso da noi, non come un problema da risolvere, non come un rifiuto da togliere dalle strade perché sciupa il decoro urbano.
Stefan, lui che faticava a parlare, ci sta ricordando con forza la sua solitudine di uomo incapace di poter comunicare la sua umanità, perché non trovava interlocutori credibili. Sarebbe bastato stare seduto accanto a lui in silenzio, condividere con lui il suo pezzo di gradino, ricevere con lui insulti o commiserazione, ascoltare soluzioni prospettate o magari imposte da parte di chi ritiene di essere in grado di risolvere tutte le situazioni perché ha approfondito il problema e ha capito che percorsi compiere, dar spazio a chi attraverso la vicinanza alle persone senza dimora porta avanti i propri progetti sociali e politici, ascoltare increduli la capacità di cambiare opinione da parte di una comunità cristiana che a parole ti è vicina, ma quando si tratta di impegnarsi, di metterci la faccia, di condividere fino in fondo la propria vita di comunità, i propri beni, ti lascia solo, magari dandoti come sostegno una pacca sulla spalla.
Il primo risultato concreto Stefan ce lo ha regalato con la sua morte, ci ha scosso dal nostro torpore: lui che era rimasto solo anche in morte ci ha chiesto di ospitarlo, di mettere a disposizione un pezzo di terra dove lui potesse sentirsi non ospite, ma parte integrante della nostra città e noi questo desiderio siamo riusciti a esaudirlo.
Questa potrebbe essere una tappa importante di un cammino che da una parte ci responsabilizza sempre di più verso le persone che vivono ai margini della nostra città, che noi dobbiamo sapere accogliere come uomini e donne e non come problema; dall’altra ci stimola a essere promotori di un cammino sociale che aiuti la nostra città a crescere in socialità mettendo al centro proprio chi è ultimo ed emarginato.
Grazie Stefan, perché nella tua semplicità e nel tuo silenzio ci hai permesso di saper cogliere tutti questi bisogni che ti hanno accomunato a tutte quelle persone che in modo diverso vivono accanto a noi. L’impegno che prendiamo è di crescere in questa consapevolezza e di lavorare perché la nostra città diventi sempre più luogo in cui tutti si sentano accolti e possano esprimere la loro umanità.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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