9 settembre 2016 – Non possiamo certamente dire che il mese di agosto e questo inizio di settembre siano stati mesi “clementi” sul fronte dell’emergenza per quanto riguarda la situazione dell’accoglienza profughi sul nostro territorio e a causa della tragedia del terremoto che ha colpito le popolazioni del centro Italia.
Ma andiamo con ordine.
Il sisma e le sue conseguenze – come abbiamo letto e visto sui mass media – sono state affrontate con tempestività, nonostante le numerose difficoltà. Protezione Civile e Caritas Italiana sono intervenute con prontezza e la macchina dei soccorsi e degli aiuti è in piena attività.
Ora, a mio giudizio, si dovrà però pensare al post-emergenza, soprattutto sul fronte della vicinanza umana con le persone che hanno bisogno principalmente di conforto, solidarietà, amicizia.
L’obiettivo di Caritas Como, anche in coordinamento con le altre Caritas lombarde, sarà quindi di mettersi a disposizione su questo piano come è già avvenuto nelle scorse tragiche esperienze dei terremoti a Quatrelle, a Carpi e a L’Aquila. Il nostro aiuto è stato materiale, ma soprattutto di vicinanza fraterna, attraverso gemellaggi, incontri, scambi formativi e capacità di ascolto.
Restiamo quindi in attesa di muoverci in modo coordinato e fedele alla nostra missione.
Per quanto riguarda la situazione dei migranti, che in agosto e tuttora sono alloggiati presso la stazione di San Giovanni di Como, per fortuna si intravvede uno spiraglio di speranza.
Mi riferisco alla imminente apertura del campo nell’area ex-Rizzo, vicino al cimitero monumentale. L’area dovrebbe aprire entro il 15/30 settembre prossimi e ospitare oltre 300 migranti in 50 moduli abitativi prefabbricati (ricordo che dall’inizio di agosto ci sono stati giorni con circa 600 presenze e la situazione era diventata oggettivamente difficile da gestire).
Questa soluzione darà un alloggio dignitoso a queste persone che comunque tuttora sono assistite nel migliore dei modi dalla Caritas, dalla Croce Rossa, dalla mensa di Sant’Eusebio (che oltretutto continua il suo sevizio fino all’apertura del campo), da volontari di parrocchie, istituti religiosi e altre associazioni.
A questa “macchina umanitaria” fantastica il mio grazie sincero.
Grazie ai 600 volontari che si sono attivati; grazie per gli oltre 45mila euro raccolti; grazie ai generi alimentari e di prima necessità che abbiamo ricevuto da parrocchie, singoli, enti, aziende e così via; grazie ai medici, ai mediatori culturali.
Grazie anche al Comune, alla Prefettura e alla Questura che hanno collaborato con noi, nonostante fatiche e tante difficoltà.
Ovviamente resta l’incognita del futuro.
Queste persone vogliono varcare il confine svizzero per ricongiungersi (è il caso della maggior parte di loro, tra cui intere famiglie) con parenti e conoscenti in Germania e in altri Paesi del Nord Europa. Se non avranno questa possibilità, avranno solo due strade: ottenere il permesso di soggiorno ed entrare nelle strutture sparse sul territorio, oppure diventare clandestini. Mi sembra quindi evidente che occorra una urgente mobilitazione politica a livello locale e internazionale.
Occorre un’Europa politica che non abbia confini territoriali. Se c’è una moneta unica, perché non c’è un territorio unico.
Basta parole, occorrono i fatti.
Subito.
Infine, due parole sull’accoglienza dei profughi che dal 2011 interessa il nostro territorio. L’emergenza della stazione San Giovanni ha arrestato l’arrivo di altri migranti che vogliono restare in Italia. Ma ciò è un fatto momentaneo.
Tuttavia, se devo tracciare un piccolo bilancio sono convinto che il lavoro fatto in questi anni è stato largamente positivo. Tante comunità si sono attivate per accogliere queste persone e, nonostante nulla sia stato facile, oggi possiamo dire di aver affrontato emergenza e accoglienza con grande solidarietà e professionalità. Pensiamo soltanto al fatto che in questi anni in Diocesi sono arrivati oltre 2.300 profughi e ben 750 a Como, accolti nelle numerose strutture (cooperative, parrocchie, privati, istituti religiosi, eccetera) e aiutati da centinaia di volontari, persone di “buona volontà” che non si sono risparmiate mai.
Mi piace sottolineare che in questo grande movimento solidale si sono anche attivati tanti progetti. Penso ai corsi di formazione professionale e di lingua italiana che hanno coinvolto centinaia di persone; penso a nuove opportunità di lavoro per giovani operatori laureati (quanti assunti nelle strutture di accoglienza!); penso a tante persone che, confinate ai margini del mondo del lavoro, hanno ritrovato un’occupazione e una possibilità di riscatto.
Allora guardiamo avanti.
Con umiltà. Ma anche con grande coraggio.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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