Pubblicato il: 30/07/2017Categorie: Editoriali, News

30 luglio 2017 – Questa volta il mio intervento vuole essere una breve “lettera aperta” ai giovani che hanno conseguito l’attestato di frequentazione dei corsi di formazione professionale per falegname, cameriere e gommista e che sono stati protagonisti dell’evento di martedì 25 luglio scorso al Centro Don Guanella.

Ringraziandoli per il loro impegno e ringraziando tutti coloro che si sono impegnati in questo progetto – giunto alla sesta edizione – il cuore e la mente mi hanno suggerito alcuni pensieri.

Voi ragazzi siete qui perché inseguite un sogno: di poter vivere liberi e in pace; di essere utili per voi e per le vostre famiglie; di avere un futuro di certezza economica; di essere protagonisti in una società che non è la vostra, ma che anche grazie a voi e al vostro esempio può diventare migliore. Ma a questi sogni bisogna dare concretezza. Il rischio che voi richiedenti asilo accolti sul territorio correte è, infatti, quello di trovarvi in un “limbo” senza prospettive dove finite per accontentarvi solo di quello che vi viene dato. No, non bisogna accontentarsi.

Tutti noi, impegnati nell’accoglienza, non dobbiamo creare le premesse della vostra delusione, della vostra resa. Il vostro sogno di speranza e di riscatto non deve essere vanificato dalla nostra incapacità di comprendere, dai nostri egoismi, dalla nostra burocrazia, dai nostri “muri” culturali e reali, dalla nostra superficialità, dalla nostra mancanza di lungimiranza. Dalla nostra fede, a volte fragile e incapace di vedere il volto di Dio nei vostri volti di fratelli in difficoltà.

Ecco, allora, oggi più che mai, l’importanza di lavorare tutti insieme – e qui mi rivolgo ai miei “fratelli italiani” –  affinché la nostra realtà (crocevia di arrivi e partenze, di vita e di speranze) diventi centro virtuoso di nuove relazioni, di nuove opportunità di crescita relazionale, umana ed economica. Superando, una volta per tutte, paure e strumentalizzazioni, egoismi e ipocrisie.

Chiedo, quindi, a tutte le persone di “buona volontà”, ai nostri amministratori, a tutti i soggetti – pubblici e privati – impegnati nell’accoglienza di guardare a queste persone – al loro e al nostro futuro – con lungimiranza e fraterna condivisione. Ogni giorno. In tutte le nostre comunità.

Dico questo in un momento particolare, che vede proprio a Como un cambio al vertice dell’amministrazione comunale e alla Questura di Como.

Saluto il nuovo sindaco e il nuovo questore e auguro a loro un proficuo lavoro personale e comunitario.

Il mio desiderio è di instaurare con loro un dialogo sereno e costruttivo per il bene di tutte le persone che vivono o transitano sul nostro territorio.

Personalmente – ma credo che ciò sia anche lo stile di Caritas – auspico di poter affrontare e poter risolvere i problemi che abbiamo di fronte “guardandoci negli occhi”, confrontandoci prima di tutto come “uomini in cammino” e non soltanto come “responsabili di istituzioni” e, quindi, condizionati dal contingente, dalla burocrazia, dalle logiche partitiche, dalle strumentalizzazioni.

Tra brave persone, insomma, ci si può intendere senza pregiudizi e si possono superare tutte le differenze di pensiero e ideologiche, guardando soprattutto al “bene comune”.

Di fronte a noi, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, abbiamo alcune sfide di non poco conto.

Ne elenco due (ma non sono le uniche): l’emergenza dei senza dimora (soprattutto comaschi, ma non solo); l’emergenza degli immigrati che usciranno dai Centri di accoglienza, perché hanno terminato il loro percorso “burocratico”, e si aggiungeranno ai già tanti senza dimora sul territorio.

Queste emergenze implicheranno non soltanto nuovi spazi di accoglienza, ma anche la possibilità di creare nuove opportunità a livello abitativo e lavorativo. Insomma, occorre far incontrare domanda e offerta in modo intelligente e creativo.

Possiamo farcela. Come?

Per esempio, far sì che il privato sociale (che spesso ha garantito e garantisce servizi alla persona con grande generosità e responsabilità) sia parte integrante del servizio pubblico (non sempre reattivo alle nuove sfide), in una sinergia di dialogo aperta e più proficua. In città, per esempio, non vorrei più affrontare il problema dell’impossibilità di offrire un servizio doccia per i poveri; non vorrei più prendere atto che la comunità di Rebbio diventi il luogo dove giungono i problemi più gravosi e irrisolti; non vorrei più dire “meno male che è operativo il nostro ambulatorio di prima emergenza a San Bartolomeo” perché il servizio pubblico non riesce a uscire dalle secche della burocrazia e aprirsi con più determinazione alla “cura della persona”.

Di ogni persona.

 

Il viaggio in Centro Italia, tra frustrazioni e speranze

Il nostro recente viaggio in Centro Italia, nei luoghi ancora drammaticamente segnati dal devastante terremoto dell’anno scorso, aveva due valenze particolari.

La prima: conoscere le cause del lunghissimo iter burocratico per la realizzazione del centro polivalente nella zona di Campi e Ancarano, nei pressi di Norcia, che dovrebbe sorgere grazie ai contributi economici raccolti nella nostra Diocesi (circa 150mila euro).

Il centro avrebbe potuto essere già inaugurato e operativo, ma la burocrazia (“nefasta” e al di là di ogni logica) ha finora avuto il sopravvento.

Il nostro auspicio è che entro Natale 2017 si possa tagliare il nastro inaugurale… ma incrociamo le dita.

La seconda: era nostra premura incontrare la gente del posto. Ciò è stato possibile in più occasioni e ci ha permesso di creare rapporti veri, che speriamo diventino continuativi.

La popolazione è tuttora provata per la perdita dei propri cari, delle proprie case, della propria identità.

La solitudine è palpabile, nonostante tanta gente giunga in quelle terre anche in questi ultimi mesi per scattare una foto o per acquistare un prodotto del luogo.

La cosa bella sarebbe condividere una fatica, una difficoltà, dialogare, aiutare a tornare alla normalità con gesti semplici, nella vita di tutti i giorni.

E ciò si sta facendo, nonostante tutto. Come ad Amatrice, dove gli operatori di Caritas Lombardia (tra cui uno proveniente da Colico) hanno fatto e fanno cose concrete: l’animazione dei Grest parrocchiali; curando i rapporti con le famiglie e le persone sole. Cercando di ascoltare, cercando di sostenere. Aiutando a tornare alla normalità. Con gesti normali. Con sguardi normali. Con sorrisi e parole normali. Tornando con la mente e con il cuore a una vita normale.

Nonostante tutto.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como

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