Pubblicato il: 10/11/2016Categorie: Editoriali, News

10 novembre 2016 – Vorrei iniziare questa mia riflessione con alcune parole della preghiera per la nostra terra che il Papa ci ha donato nella sua lettera enciclica Laudato si’: “O Dio dei poveri, aiutaci a riscattare gli abbandonati e i dimenticati di questa terra che tanto valgono ai tuoi occhi. Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione”.

Ho bisogno in questo momento così frenetico, che mi sta impegnando e impegna la Caritas diocesana nell’assistenza ai fratelli profughi e migranti, di trovare il tempo per riflettere, per capire come e in che misura questa sfida sta coinvolgendo la mia vita, la vita degli operatori e dei volontari Caritas, le comunità parrocchiali, la città di Como e le altre realtà sul territorio.

“Aiutaci a riscattare” ci invita la preghiera; per riscattare bisogna aprire gli occhi sulla realtà vera che ci sta attorno, e allora nascono subito alcune domande: perché tutta questa povertà?, perché tutta questa sofferenza?, perché tutta questa indifferenza?

La prima reazione che nasce dentro di me non è razionale ma si tramuta in un sentimento di rabbia, si trasforma  in rifiuto di questa società che apparentemente è aperta all’accoglienza, ma in realtà è chiusa in se stessa e pronta a usare situazioni e persone per realizzare i propri progetti.

Sento allora l’importanza di riuscire a instaurare rapporti umani veri con le persone che in questi anni stanno aiutando, perché è attraverso questa verità di rapporti che chi arriva da noi può riprendere fiducia con la vita e con la società.

Attualmente, purtroppo, stiamo vivendo un’accoglienza che è più legata alle sensazioni che il cuore ci detta quando incontriamo queste persone in modo reale, persone che ci comunicano direttamente la loro umanità non mediata dalle notizie che i media propongono (il gioco di parole non è casuale).

Mi chiedo, allora, quanta consapevolezza abbiamo di cosa significhi vivere un’accoglienza vera. Accogliere veramente significa avere la capacità di riconoscere i volti e le storie delle persone che avviciniamo, e questa conoscenza la acquisisci solo quando ti metti in condizione di ascolto sincero senza nasconderti dietro l’attivismo, le cose da fare, che tutto livella, che tutto normalizza, che ti fa mettere la coscienza a posto.

Sento anche il bisogno di non rompere il dialogo con chi rifiuta per motivi ideologici o razziali questi nostri fratelli, con chi, nascondendosi dietro presunte paure, cerca di salvaguardare i propri privilegi che troppe volte sono stati acquisiti anche attraverso lo sfruttamento di chi sta arrivando da noi in cerca di vita. E di ciò ne ho testimonianza quotidiana sul territorio della città. Questo rifiuto è la conseguenza di una povertà morale, di una povertà culturale, ma anche di una povertà spirituale a cui è urgente dare delle risposte positive attraverso l’attuazione di cammini di conoscenza e di formazione.

Prosegue la preghiera: “Risana la nostra vita affinché proteggiamo il mondo, non lo deprediamo e seminiamo bellezza e non distruzione”.

Per noi è faticoso pensare che il mondo lo si protegge partendo dal cambiamento di stile e di comportamenti delle nostre vite; di solito siamo noi che dettiamo il cambiamento delle vite degli altri. Nel caso dei migranti, è sentire comune che per l’accoglienza che noi offriamo, in cambio essi devono lavorare, devono inserirsi in tutta una serie di attività che li adegui alla nostra società, così che in qualche modo ci ripaghino delle opportunità di vita che gli offriamo.

Dopo anni di esperienza di accoglienza posso affermare che la vicinanza di questi fratelli e sorelle, che bussano alle nostre porte, mi ha portato a capire che non ci sono programmi di recupero se prima non sei pronto ad accogliere l’altro in gratuità e come parte integrante della tua vita semplicemente perché è parte dell’umanità.

Il mondo lo si può salvare se sei capace di salvare tutte le espressioni culturali, sociali, politiche e religiose che gli uomini nel corso dei secoli sono stati in grado di vivere e le persone che ospitiamo sono certo portatrici non solo di fatiche e di povertà materiali, ma anche di esperienza di vita, di cultura, di capacità di relazioni fatte sull’incontro e non sulle cose da possedere; ricchezze queste che sono pronti a condividere con noi e che potrebbero aiutare la nostra società occidentale a recuperare quei principi di fratellanza e di solidarietà che ha perso, perché in questi anni si è impegnata solo per seguire la chimera del successo e del guadagno facile.

Questo è il cammino che da anni stiamo cercando di percorrere e, forti di questa esperienza faticosa ma esaltante, posso affermare che se singoli, gruppi, associazioni, comunità hanno il coraggio di intraprendere questa strada dell’impegno personale, c’è ancora una speranza per il mondo. E se davvero tutti abbiamo il coraggio di saper infrangere le convenzioni che il mondo occidentale si è dato, se superiamo la posizione del “politicamente corretto” e con coraggio e nella legalità ci mettiamo a servizio di chi è povero, di chi è ultimo, di chi è profugo, diventiamo costruttori di pace e di bellezza.

E allora sicuramente l’umanità avrà un futuro.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como

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