
1 settembre 2022 – Un breve soggiorno estivo di pace e di speranza quella trascorsa a Sondalo, in località Vallesana, dal 16 al 26 agosto da 42 minori (ragazze e ragazzi dagli 8 ai 17 anni) provenienti dai campi per rifugiati interni all’Ucraina, nelle zone a ovest non colpite dalla guerra. Il gruppo, accompagnato da sei operatrici – educatrici e psicologhe – di Caritas Ucraina, è stato ospitato al Pfp-Polo di formazione professionale “Vallesana” della cittadina valtellinese e seguito dall’operatrice della Caritas diocesana Monia Copes, coadiuvata da una squadra di lavoro organizzata ad hoc per questa importante occasione. I giovani accolti a Sondalo fanno parte di un gruppo più vasto – circa 200 giovani – che grazie alla Caritas Italiana (che ha sostenuto con Caritas Ucraina e Caritas Spes Ucraina i costi iniziali dell’operazione) e alla rete nazionale delle Acli hanno raggiunto il nostro Paese e sono stati ospitati in 4 diocesi (2 in Lombardia e 2 in Toscana).

La sede del Centro di formazione professionale “Vallesana” a Sondalo
Ecco la testimonianza di Monia Copes, l’operatrice della Caritas diocesana che ha coordinato sin dall’inizio questo progetto in collaborazione con l’operatore Loris Guzzi, ed è impegnata con lui nell’accoglienza in Valtellina delle famiglie ucraine in fuga dal conflitto.
«Sono stati 10 giorni intensi, ma indimenticabili – afferma Monia – Con i ragazzi abbiamo alternato giorni di attività di laboratorio e gite sul territorio – ricordo in particolare la giornata alle Terme e poi all’oratorio di Bormio, a Livigno nel giorno della Festa dell’indipendenza ucraina e ai castelli di Grosio – a momenti di riposo nella splendida struttura della scuola professionale di Sondalo, dove erano allestite le loro camere, la cucina, la sala da pranzo e uno spazio per la ricreazione».
Da chi era composta la squadra impegnata con i ragazzi?
«Era formata da persone ucraine e alcune da tempo collaboratrici della Caritas in Valtellina. Valeriia, che abbiamo conosciuto a febbraio, è stata la nostra mediatrice linguistica e tuttofare ed era accompagnata dalla sorella Solomia. Con lei hanno collaborato Liudmila, la nostra cuoca, che è in Italia con la figlia Sofia; poi Anastasia e Danilo, che sono fratelli, sono ospitati a Castione e ci hanno aiutato con la sorellina Maria; Olga, residente a Sondrio da diversi anni, era presente con la figlia Nikole e ha affiancato Valeriia come mediatrice. Il coordinamento è stato mio e di Patrizia Benini che è volontaria nella parrocchia di Sondrio e si è occupata soprattutto della fornitura di cibo e del materiale per le diverse attività. Tutti hanno fatto tutto e bene, grazie alla forte unione e amicizia nata fra loro».
Questa esperienza ha creato diverse sinergie positive sul territorio…
«Sì, certo e ne siamo felici. Importante è stato il coinvolgimento delle varie comunità valtellinesi, capaci di attivarsi con entusiasmo sulle cose concrete da fare. Per esempio abbiamo interessato le parrocchie di Bormio, Livigno, Sondalo, Grosio e Sondrio per le varie attività svolte dai ragazzi; grande partecipazione anche da parte dei vari fornitori che ci hanno portato quotidianamente cibo e assistenza. Anche le amministrazioni locali ci sono state vicine con grande sensibilità. Il nostro grazie speciale anche alla scuola che ci ha ospitato, ai suoi dirigenti e al personale sensibile e sempre disponibile. In più si sono create anche nuove opportunità per chi ha collaborato con noi: a Liudmila è stata offerta una proposta di assunzione proprio dal Pfp di Sondalo che ci ha ospitato e per Danilo si sta aprendo la possibilità di iniziare un percorso scolastico per diventare cuoco. Pensando a Liudmila, non posso non ringraziare il Centro di Ascolto di Tirano che l’ha seguita sin dal suo arrivo in Italia. È un riconoscimento anche per il loro prezioso lavoro».
La Valtellina conferma così la grande mobilitazione per accogliere e ospitare i profughi ucraini…
«Da marzo a oggi sono oltre 560 persone accolte: sono in prevalenza nuclei famigliari ospitati gratuitamente da famiglie italiane, o da famiglie di connazionali residenti, con spazi e alloggi disponibili. Ora la sfida della Caritas diocesana è poter sostenere economicamente questa accoglienza che si sta rivelando lunga e impegnativa per tutti».

La “squadra” al completo coordinata dall’operatrice Monia Copes

Monia con l’educatrice ucraina Halyna
Valeriia, sei stata la preziosa collaboratrice di questa accoglienza che ti ha particolarmente coinvolto…
«Collaboro con la sede Caritas di Sondrio sin dall’inizio di questa maledetta guerra per l’accoglienza delle famiglie profughe – ci dice Valeriia – A Sondalo è stata un’esperienza straordinaria per i ragazzi e anche per noi. Abbiamo accolto giovani spaventati e disorientati (ricordo il primo giorno la loro paura quando in zona passava o decollava un elicottero) e sicuramente in questo breve soggiorno hanno potuto alleviare la loro tensione psicologica e lo stress accumulato in questi mesi. Un buon risultato se penso che questo era l’obiettivo del progetto. Non nascondo la mia emozione alla loro partenza per tornare in Ucraina. Speriamo un giorno di poter rivivere questa esperienza, magari in Ucraina, con la guerra alle spalle».

Valeriia ha accolto e seguito i giovani ucraini durante il soggiorno a Sondalo
Le educatrici Viktoria e Halyna:
«Qui siamo tutti più sereni, ma il futuro in Ucraina resta un’incognita»

Halyna e Viktoria, le educatrici che hanno accompagnato in Italia i giovani ucraini
Viktoria e Halyna sono due operatrici di Caritas Ucraina che hanno accompagnato i giovani ucraini a Sondalo. Durante la loro permanenza in Valtellina, le abbiamo incontrate e abbiamo raccolto le loro testimonianze, grazie alla preziosa traduzione di Valeria.
«Nel mio Paese – racconta Viktoria, che ha il marito soldato in guerra – opero in Caritas da più di 12 anni nella zona di Volyn vicino alla Polonia. Il mio compito è lavorare con i bambini e i giovani. I ragazzi che sono qui in Italia arrivano da diverse località dell’ovest dell’Ucraina, la parte che confina con la Moldavia, la Romania, la Polonia e Ungheria. Circa 4 milioni di persone oggi sono rifugiate interne in quella zona».
Come sta andando questa esperienza?
«È molto interessante e bella anche per i ragazzi perché è la prima volta che sono in Italia. È tutto molto piacevole: natura, accoglienza, gentilezza degli italiani. Questi ragazzi provengono dalle zone disagiate e occupate e sono rifugiati interni. In tanti hanno vissuto sulla propria pelle l’occupazione, l’aggressione militare russa, hanno visto da vicino la guerra, si nascondevano nei bunker, nei sotterranei, e per loro questa esperienza è la possibilità di stare tranquilli e di ritrovare un po’ di serenità. Anche se non è facile: ricordo il primo giorno la loro paura all’arrivo presso il vicino ospedale dell’elicottero del soccorso. Si sono molto spaventati peché è tornato il brutto ricordo degli aerei impegnati nelle operazioni militari».
Presto il ritorno a casa…
«Sì, però a una vita “normale” in un Paese in guerra, pensando alla scuola, ai papà al fronte, agli amici, ai giochi, agli affetti famigliari… Vorrei che questa esperienza italiana non finisse così presto. Sarebbe bello invitarvi da noi per poter conoscere l’Ucraina. Domani (24 agosto, ndr) è la nostra Giornata dell’indipendenza. Per noi è molto importante festeggiarla perché è un modo di ricordare l’importanza della libertà. È una festa emblematica e paradossale, perché si ricorda l’indipendenza di un Paese che ora è coinvolto in una guerra assurda. Grazie Italia e a tutti voi».
Halyna è sorridente e ci affianca nella conversazione. «Sono docente universitaria e da 20 anni collaboro con la Caritas Ucraina come psicologa. Anche per me è stata la prima esperienza in guerra e ho dovuto fare corsi e aggiornamenti per capire come essere utile in questa situazione. Sono nata a Ivano-Frankivs’k ma vivo da sempre a Chernivtsi dove c’è l’università».
Può fare un breve bilancio di questa esperienza non ancora conclusa?
«Siamo tutti più sereni anche se il futuro resta un’incognita. Questa esperienza non ha prezzo, perché l’unico modo per aiutare è cambiare posto fisicamente. Lontani da un posto insicuro, carico di stress e di precarietà, e portare questi giovani al sicuro scoprendo anche nuove relazioni: così possono riacquistare fiducia nella vita e in se stessi. Qui non ci sono militari in giro, sirene che suonano, niente che ci ricorda la guerra. Solo natura e tanto verde».
Essendo operatrice Caritas, come ha vissuto personalmente questi mesi in un Paese in guerra?
«Nei primi giorni ci siamo spaventati tutti e non sapevamo cosa fare. Tuttavia quando sono arrivate le prime persone che avevano bisogno di aiuto e soccorso non abbiamo più pensato a noi stessi, ma al lavoro da fare. In questi 6 mesi mi sono messa in salvo nel bunker solo due o tre volte, per il resto non ho mai lasciato il mio lavoro. Durante i primi giorni del conflitto sono state affrontate le prime emergenze; successivamente l’attenzione e l’azione sono state rivolte alle regioni più lontane che all’inizio sono state occupate e poi liberate. In quelle zone abbiamo inviato viveri, vestiti e tutto il necessario giunti al nostro Paese grazie agli aiuti internazionali. Anche da parte dell’Italia. Il mio grazie di cuore personale a tutti voi».
Viktoria e Halyna ci salutano, poi si guardano negli occhi lucidi e si abbracciano con affetto e un briciolo di nostalgia. E anche noi le salutiamo con un sorriso. E riconoscenti.
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