5 novembre 2021 – La mattina a Bihac è fredda e ha quella luce lattiginosa da nebbia. Una coltre spessa da Pianura Padana, ci accompagna da quando ci svegliamo fino alle 10 di mattina circa, quando il sole riesce a scioglierla. Sta arrivando il freddo, anche se ancora si alterna a rare giornate soleggiate che scaldano. È solo un assaggio di quello che sarà l’inverno, ma nei giorni peggiori già ci costringe ad uscire con giacconi, guanti e berretti – la scorsa settimana durante la notte abbiamo toccato gli zero gradi.
Il nuovo campo di Lipa non è ancora stato aperto. La data è stata rimandata più volte e al momento non ce n’è una ufficiale, qualcuno dice metà novembre, ma chissà cosa succederà nel frattempo: dai soliti tendoni militari e freddi di Lipa i migranti guardano ai container del nuovo campo e ci chiedono informazioni che non abbiamo. Si capisce che ha iniziato a fare freddo. Le file del té mattutino si allungano di giorno in giorno, le persone si presentano avvolte nelle coperte a quadrettoni con cui dormono e gli odori si fanno più forti.
D’altra parte farsi una doccia all’aperto con l’acqua gelida delle taniche non è per nulla invitante. Si sente l’effetto del freddo anche sul morale: le possibilità di partire per il “game” (così vengono chiamati i tentativi, spesso ripetuti, di passare il confine croato) sono ormai agli sgoccioli e il viaggio è sempre più rischioso.
Ogni settimana con il respiro sospeso guardiamo alle previsioni meteo. Se sono buone, sappiamo che Lipa sarà vuota per la settimana che arriva, la maggior parte dei migranti in viaggio tra le foreste della Croazia; se sarà una settimana fredda, di pioggia, sappiamo di doverci preparare a un campo teso e stressato. Qualcuno ci dice di voler partire presto per tornare in Serbia, dove le condizioni nei campi per migranti e rifugiati sono migliori, non si fida dell’apertura del nuovo campo e non crede che migliorerà la situazione.
Per tutti in ogni caso l’arrivo dell’inverno vuol dire una sola cosa: aver perso un altro anno, restare bloccati ancora una volta nei Balcani ad attendere la primavera per poter rimettersi in viaggio, per l’ennesima volta, verso l’Europa.
Sta arrivando il freddo e sta arrivando velocemente, ma non c’è nulla o quasi di pronto e sarà l’ennesima emergenza. Come tutti gli anni, del resto, in questa stagione anche a Como si cercano soluzioni provvisorie per i senza dimora e ci troviamo di fronte all’ennesima Emergenza Freddo. La settimana scorso sono tornati a Lipa i quattro europarlamentari del PD autodefinitosi “eurobosniaci” – Alessandra Moretti, Pietro Bartolo, Francesco Majorino e Brando Benifei – già venuti nel gennaio 2021, a seguito dell’incendio che distrusse il campo. L’attenzione della stampa è tornata a focalizzarsi sull’emergenza migranti in Bosnia per qualche giorno, giusto il tempo di raccogliere qualche dichiarazione e dare modo alle controparti di rispondere, e poi tornerà tutto come prima.
Nonostante le migliaia di prove che dimostrano le violazioni dei diritti umani che l’Unione Europea compie coscientemente.
È dal 2015 che le associazioni e i gruppi di attivisti denunciano la violenza che l’Europa opera su questi confini, eppure quando a inizio ottobre un gruppo di giornalisti investigativi dell’agenzia stampa ARD Studio Wien hanno diffuso un video dei pestaggi da parte di tre poliziotti croati verso un gruppo di migranti lungo il confine, l’opinione pubblica se n’è improvvisamente accorta. Altrettanto velocemente se n’è dimenticata: i tre poliziotti presenti nei filmati sono stati sospesi, come se avessero deciso da soli di mettersi a picchiare chi passava di lì, dichiarazioni generiche di condanna dell’uso della violenza sono state fatte da chi di dovere; i migranti continuano a dover passare il confine illegalmente, i poliziotti croati a massacrarli su mandato europeo.
Sarà l’arrivo dell’inverno e il sole che inizia a mancare, sarà che sono qua da quattro mesi e sta iniziando a pesarmi, ma mi sento scoraggiato. Mi viene la nausea a pensare che non si vede la fine delle violenze lungo i confini europei, e non solo quello bosniaco-croato.
Lavorare a Lipa ha anche i suoi momenti belli, sia chiaro. I legami che si costruiscono con le persone che incontriamo giorno per giorno, i ringraziamenti e le dimostrazioni di affetto che riceviamo per il nostro lavoro scaldano il cuore e mi lasciano soddisfatto di quello che sto facendo. Però è poco, pochissimo, e confrontato con la scala della bruttura a cui assistiamo è nulla. Per Imran forse non è così poco. L’abbiamo conosciuto durante i corsi di lingua che teniamo a Lipa: è partito dall’inglese, che sa già davvero molto bene, per poi frequentare anche a quelli di italiano e tedesco. Ha iniziato a chiedere del materiale extra per studiare anche quando non ci siamo. Lui ha avuto la fortuna di studiare all’università: ha una laurea triennale in Storia dell’Islam e quando ne parla si vede che studiare lo appassiona. Abbiamo iniziato a scambiare qualche parola in italiano.
Credo che per lui il nostro essere lì faccia la differenza. E allora, forse, ha senso rimanere e fare il possibile.
Tommaso Siviero
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