BOSNIA AND HERZEGOVINA - SEDRA TEMPORARY RECEPTION CENTRE

1 dicembre 2021 – Tommaso Siviero è un giovane della provincia di Como in servizio civile con Ipsia (ONG delle Acli) a Bihac dove collabora alle attività a favore dei migranti in transito realizzate anche grazie al contributo della Caritas diocesana di Como. Da alcuni mesi tiene un diario di questa sua esperienza su il Settimanale della Diocesi di Como e su queste pagine.
Questa è la sua quinta puntata (qui trovate le precedenti).

Due settimane fa, dopo mesi di ritardi e dilazioni, ha aperto il nuovo Centro di Ricezione Temporanea di Lipa. Sorge di fronte al vecchio campo provvisorio che rimane lì in attesa di essere smontato. Sono tornato a visitarlo in un momento di pausa dal lavoro: vuoto, sporco e ancora più desolante di prima. I tendoni militari verdi che ospitavano i migranti erano pieni di immondizia, habitat di diversi animali in cerca di cibo.

Mentre camminavo sulla strada principale che attraversa il campo, ho visto nel fango un mazzo di carte da gioco, caduto a qualcuno e abbandonato durante il trasferimento nel nuovo campo: anche senza simbologie o paragoni melensi, sembrava fuori luogo, come se, invece che un trasferimento di pochi metri, ci fosse stata un’evacuazione compiuta in tutta fretta. Il nuovo campo non potrebbe essere più diverso: container bianchi, disposti ordinatamente all’interno di strutture recintate con dei piccoli spiazzi di mattoni grigi al centro, pulizia e geometria esasperate.

È una struttura asettica e funzionale: ci entri e senti il peso delle istituzioni che provano in tutti i modi a “gestire l’immigrazione” puntando solo su efficienza e controllo. È facile dire che le condizioni sono migliori di prima. Le stanze sono da sei, non più da trenta, c’è acqua corrente calda e riscaldamento, c’è elettricità a ciclo continuo, docce e prese elettriche.

Basta fornire il minimo indispensabile per fare meglio di quanto c’era prima. Tutto è curato, perché queste nuove strutture sono una dichiarazione netta, una presa di distanza da quanto è successo fino ad oggi lungo la Balkan Route bosniaca.

L’emergenza dello scorso inverno, l’incendio, giornalisti e giornaliste che da tutta Europa si sono precipitati in Bosnia all’improvviso… c’è il bisogno di lasciarsi tutto questo alle spalle. Le autorità che gestiscono il campo sapevano che l’attenzione dei media sarebbe stata stuzzicata e hanno fatto in modo che non ci fosse nulla da rimproverare all’apertura contando su una stampa in cerca di notizie forti.

Alcuni giornalisti presenti all’inaugurazione hanno riferito che diversi giornali italiani a cui hanno proposto un pezzo sull’apertura di Lipa hanno risposto di non essere interessati, ma di farsi risentire “se succede qualcosa”.

LE CRITICITÀ QUOTIDIANE
Ma è nell’ordinaria amministrazione che si nascondono le criticità. Manca il Wi-Fi (indispensabile per mantenere i legami con chi è rimasto indietro e in molti casi con chi è già andato avanti lungo la via), la struttura sta a 26 km dal centro di Bihac e quindi dai servizi, senza la possibilità per i migranti di prendere mezzi di trasporto pubblici o privati (è espressamente vietato dalle leggi locali). C’è tantissima polizia e molte più regole e controllo e questo, probabilmente, non farà che peggiorare con l’arrivo delle famiglie e dei minori.

Ecco, questo è forse il punto più critico di tutti: il nuovo campo accoglie uomini soli, famiglie e minori non accompagnati in tre aree divise e teoricamente non comunicanti del campo. Per ora parliamo di numeri molto bassi e gestibili, circa 250 uomini soli, un paio di minori e una famiglia di 4 persone, ma nel momento in cui aumenteranno ci sarà bisogno di sforzi in più per tutelare i soggetti più fragili – donne, bambine e bambini. Sottoporre persone già stressate al parossismo ad ulteriore stress in termini di forze di polizia presenti avrà effetti negativi sulla salute mentale già fragile.

Cambiare tutto per non cambiare niente, si potrebbe dire. Cambiano le condizioni oggettive, sicuramente un bene per chi nel campo ci vive, ma non il sistema generale di gestione dell’immigrazione e lo si è visto benissimo durante i discorsi fatti alla cerimonia di inaugurazione del campo. Sul palco si sono succeduti rappresentanti dell’UE, delle istituzioni bosniache di tutti i livelli e dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni.

Si è parlato di gestione dell’immigrazione, si è parlato dello stress a cui è sottoposta la popolazione locale bosniaca, si è parlato di cooperazione tra le istituzioni e di investimenti. Nessuno ha parlato di migranti, di diritti umani o di libertà, nessuno ha parlato della sofferenza fisica e psicologica a cui obblighiamo migliaia di persone negando ogni possibilità legale di ingresso in Europa. Nessuno ha parlato di violenza di confine.

UNA SENTENZA NON BASTA
Dove non arriva la politica, però, a volte arriva la giustizia. Il 21 novembre 2017 Madina muore travolta da un treno in Croazia. Ha 6 anni, viene dall’Afghanistan, è in viaggio da più di un anno con la sua famiglia ed ha appena superato il confine europeo.

Lo scorso 18 novembre, con una sentenza storica, la Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) ha condannato la Croazia per violazione del diritto alla vita di Madina, trattamento inumano dei bambini, privazione illegale della libertà dell’intera famiglia, espulsione dal territorio europeo, oltre che inibizione all’accesso a un avvocato. Madina muore per colpa della polizia croata, ha stabilito la Cedu. Perché nonostante la famiglia abbia fatto presente alle autorità il desiderio di richiedere asilo in Croazia, i poliziotti hanno respinto l’intera famiglia, indirizzandoli verso la Bosnia lungo alcuni binari ferroviari. È su questi binari che arriva il treno che travolge Madina.

Di questo caso eclatante se ne è parlato moltissimo allora e fortunatamente, a distanza di 5 anni, è arrivata una sentenza. Certo, questo non riporta indietro la vita di Madina e le centinaia di altre vite perse ai confini d’Europa. Stabilite le colpe, stabilito che il sistema di gestione dell’immigrazione costruito dalla Croazia e finanziato dall’Unione Europea viola sistematicamente la libertà e il diritto internazionale, cambierà qualcosa?
Lo spero, lo dobbiamo a Madina, alle centinaia di bambini e bambine sulla Rotta, alle migliaia di persone che teniamo chiuse fuori dai cancelli d’Europa.

TOMMASO SIVIERO

Leggi le puntate precedenti del Diario dalla Rotta balcanica

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