Tommaso-Siviero

15 febbraio 2022 –  Tommaso Siviero è un giovane della provincia di Como in servizio civile con Ipsia (ONG delle Acli) a Bihac dove collabora alle attività a favore dei migranti in transito realizzate anche grazie al contributo della Caritas diocesana di Como. Da alcuni mesi tiene un diario di questa sua esperienza su il Settimanale della Diocesi di Como e su queste pagine. Questa è la sua settima puntata (qui trovate le precedenti).

È andata che le vacanze di fine anno si sono allungate di un bel po’. Prima Capodanno, poi una formazione e infine il covid che mi ha fatto rimandare il volo di ritorno per la Bosnia di due settimane intere. Sono rientrato a Bihać solo la scorsa settimana, dopo un intero mese passato in Italia. È stato bello tornare, mi mancavano questo luogo e questi rapporti umani che con i mesi sono iniziati a diventare quotidianità. Entrando nell’appartamento che condivido con le mie colleghe di servizio civile mi ha assalito quella sensazione calorosa di abitudine e normalità che mi fa dire casa.

Il continuo andare e tornare di questi ultimi mesi tra Italia e Bosnia mi scombussola ogni volta e questa lunga vacanza obbligata in Italia lo ha fatto più del solito. Facciamo un veloce recap dei fatti. Sono 7 mesi che vivo a Bihać, nel cantone di Una-Sana in Bosnia ed Erzegovina. Ancora non parlo bosniaco, ma ammetto di non averlo mai studiato con particolare impegno. Ho superato la metà dei miei 12 mesi di servizio civile. La Rotta Balcanica rimane uno sfregio ai diritti umani e l’Europa, con le sue politiche migratorie, ne è la principale responsabile.

Durante la mia assenza non mi sembra sia cambiato nulla nel campo. Più o meno le stesse facce e lo stesso numero di persone, gli stessi orari, la stessa routine. C’è solo un po’ di neve in più rispetto a quando sono partito. Ho trovato ad aspettarmi anche i soliti problemi di insonnia, ricominciati non appena ho rimesso piede a Lipa e che, a loro modo, mi rincuorano: forse è un bene che non mi sia ancora riuscito del tutto ad abituare a questa assurda situazione.

Ho ritrovato Imran, che ha smesso di studiare italiano ma non di battermi a scacchi, Denis, che ormai non zoppica più ed è pronto a ripartire non appena le condizioni metereologiche lo permetteranno. Salman è una presenza fissa dall’inizio del servizio civile e la mascotte della nostra squadra: ha voluto festeggiare il ritorno del team di Ipsia al completo offrendoci Coca e Sprite. Il numero di famiglie e di minori nel campo rimane bassissimo, così come quello di single man: parliamo di circa 400 persone su un totale di 1500 posti a capienza massima.

È basso in generale il numero di migranti in Bosnia, basso come non lo si vedeva da quando la Rotta Balcanica ha iniziato a passare dal paese nel 2018. Per questo e per altri motivi, in molti hanno iniziato a chiedersi se questo inverno non segni la fine del passaggio dei migranti dalla Bosnia e da Bihać, ma è presto: le risposte arriveranno solo con la ripresa dei game a primavera.

Si è già iniziato a parlare di nuove rotte, come quella Calabrese, che partono dalla Turchia ed arrivano in Italia saltando a piè pari i Balcani con piccole navi a vela. Rotte più costose e pericolose, che col passare del tempo diventano però alternative allettanti rispetto al marcire nei campi bosniaci in attesa del prossimo giro di bastonate della polizia croata.

Comunque vada, questa non sarà la fine della Rotta Balcanica, ma solo uno degli innumerevoli cambiamenti che sono parte integrante del fenomeno fluido della migrazione. Non sarà nemmeno la fine dei problemi della Bosnia Erzegovina, che ne ha di molti più grandi e strutturali da affrontare.

Ecco, tracciando il bilancio a metà di questa esperienza, posso dire che quello che è sicuramente cambiato è il mio rapporto con i Balcani e con la Bosnia. Mi sono affezionato incredibilmente a questo paese mozzafiato, peculiare e stranamente familiare. Ogni volta che mi sembra di iniziare a capirlo succede sempre qualcosa che scombussola tutte le mie timide certezze.

Più ne leggo la storia e meno mi ci raccapezzo, perso tra rivendicazioni del presente che affondano le radici in un passato remoto, perso nella nostalgia della Jugoslavia ricordata come epoca d’oro che fa a pugni con le rivendicazioni nazionaliste e le recenti e sanguinose guerre. Più la vivo e più mi ci sento a casa. L’accoglienza a braccia aperte, le grandi mangiate, bevute e chiacchierate attorno al tavolo, i saluti calorosi e l’umorismo tagliente e sarcastico. Ogni volta che mi sono allontanato da casa in cerca di qualche luogo esotico, lontano e poco conosciuto, l’ho scoperto molto più simile a me di quanto potessi immaginare.

Ognuno con le sue caratteristiche, non c’è dubbio, e con quegli aspetti particolari che lo rendono unico – ma in queste diversità profonde possiamo trovare molti aspetti comuni e io mi diverto a cercarli. Credo che sia molto conveniente immaginarsi diversi, relegare alcuni paesi a dei luoghi mentali esotici, lontani, troppo complessi da capire: annega la paura di rivedersi specchiati nei problemi degli altri. Superare queste pretese di diversità significa aprirsi al confronto, alle sfaccettature variegate dell’esperienza umana. Un rischio enorme, una ricchezza incommensurabile.

TOMMASO SIVIERO

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Leggi le puntate precedenti del Diario dalla Rotta balcanica

 

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Causale: Progetti lungo la Rotta Balcanica

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