25 aprile 2022 – Tommaso Siviero è un giovane della provincia di Como in servizio civile con Ipsia (ONG delle Acli) a Bihac dove collabora alle attività a favore dei migranti in transito realizzate anche grazie al contributo della Caritas diocesana di Como. Da alcuni mesi tiene un diario di questa sua esperienza su il Settimanale della Diocesi di Como e su queste pagine. Questa è la sua ottava e ultima puntata (qui trovate le precedenti).
A Sarajevo oggi nevica. Nulla di poetico, è quella neve pesante mista pioggia che ti obbliga a saltare di pozza in pozza per evitare di sprofondare nelle chiazze grigio-marroni sparse sul marciapiede. Il meteo è pessimo, ma per lo meno pulisce l’aria dall’inquinamento cittadino. La Bosnia-Erzegovina è tra i paesi più inquinati d’Europa e nei mesi invernali degli ultimi anni la capitale si è aggiudicata il discutibile titolo di città più inquinata del mondo almeno due volte, nel gennaio 2018 e 2020. Complice sicuramente il basso ricambio dell’aria dato dalla morfologia della città, incastrata in una valle stretta scavata dal fiume Milijacka. Quindi, benvenuto nevischio.
Questa città inquinata sarà la mia nuova casa per i prossimi anni, spero. Mi sono trasferito qua ormai tre settimane fa, lasciando il servizio civile a Bihać per una nuova opportunità lavorativa. Ho iniziato a lavorare come social media manager per Balkan Insight, un affermato giornale internazionale d’inchiesta prodotto da giornalisti e giornaliste dei Balcani. Un’occasione incredibile per un giornalista in erba come me, una di quelle che il panorama lavorativo italiano probabilmente non mi avrebbe mai offerto. Non che in Bosnia-Erzegovina sia più semplice, anzi… Quando parlo con i locali e racconto di essermi trasferito qui a lavorare ricevo sguardi stupiti – chi pensa scherzi, chi mi prende per idiota. Il paese assiste impotente da diversi anni ad un’emorragia costante di giovani che si allontanano in cerca di lavoro e condizioni di vita migliori che la loro patria non sa offrire.
Ironico, no? L’inquinamento e la morfologia, la fuga dei cervelli e la mancanza di opportunità per i giovani. Sono, in scala di gran lunga ingrandita e più emergenziale, alcuni degli stessi problemi che ugualmente abbiamo ed ugualmente ignoriamo a Como. Mi sento a casa.
Lasciando da parte i paragoni azzardati, Sarajevo è una bella città in cui vivere. Mi sembra una città dove la vita scorre ancora a ritmi su misura umana, senza corse e affanni eccessivi. Se ci si incontra con amici per bere un caffè bisogna mettere in conto tre ore come minimo. La capitale bosniaca è affascinante, piena di storia antica e recentissima e di quel miscuglio di culture di cui solo i Balcani sono capaci. Il luogo che più è simbolo di questa caratteristica unica si trova nella città vecchia. Camminando verso ovest lungo le strade di Baščaršija, tra le moschee e le ćevaperie, l’acciottolato beige e levigato viene interrotto da pietre grigie visivamente più recenti. Ad unire le due pavimentazioni in contrasto, un disegno geometrico e una linea che taglia la via in due. Guardando ad ovest edifici austroungarici ti raccontano di nord-Europa; ad est architetture ottomane ti ricordano Istanbul. La città è stata costruita così, è nata così potremmo dire, figlia di culture diverse. Il disegno geometrico che separa le due parti del centro città fa parte del progetto “Sarajevo Meeting of Cultures”, un’installazione turistica del 2014, nata per sottolineare il portato culturale meticcio della città e promuovere un’idea di incontro, più che di scontro, delle culture.
Il progetto racconta di una Sarajevo che è stata e spera in una Sarajevo che sarà, ma di sicuro non parla dell’oggi. Quella che un tempo veniva chiamata “la Gerusalemme d’Europa” per la presenza storica di tutte le tre grandi religioni monoteiste, dalla guerra degli anni ’90 ha cambiato faccia. Il censimento del 2013, il primo e unico dopo l’indipendenza del paese, ha fornito l’immagine numerica del cambiamento. 1991: il 50% degli abitanti del cantone di Sarajevo erano bosniaci musulmani, i serbo-bosniaci erano quasi il 30%, i croati di Bosnia il 7% e il resto apparteneva ad altre nazionalità. Ad oggi la popolazione generale è notevolmente ridotta ed è composta per più dell’80% da musulmani. I croati sono circa il 4%, i serbi il 3 e le altre nazionalità arrivano quasi al 9%. Una capitale etnicamente omogenea di un paese storicamente multireligioso.
Ho avuto modo di innamorarmi e appassionarmi di Bosnia in questi 10 mesi di vita nel paese. E, posso già dirlo, credo che non faticherò ad abituarmi a Sarajevo. Con il suo portato storico e culturale recentissimo, Sarajevo non è una città che può lasciare indifferenti. Tra le sue strade riverbera la storia europea recente e antica, risuonano domande che mettono in dubbio l’identità di ciascuno, che ci chiedono da dove veniamo e – soprattutto – che direzione vogliamo prendere.
(Nella foto, uno scorcio di Sarajevo)
Tommaso Siviero
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Causale: Progetti lungo la Rotta Balcanica
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