Pubblicato il: 04/10/2023Categorie: La Caritas si racconta, StorieTag:

4 ottobre 2023 – All’alba dello scorso 1 ottobre dalla parrocchia di Maccio di Villa Guardia è partita la 22esima missione umanitaria di Frontiere di Pace.
Tre “driver”, così sono soliti definirsi i volontari-autisti, Franco Cappelletti, Antonello Fumagalli e Emanuele Savarino, hanno accompagnato con il furgone carico di cibo, un bilico partito pochi giorni fa da Montano Lucino, con 40 letti di ospedale e migliaia di kg di cibo. Destinazione la città di Kherson e il monastero greco cattolico di San Volodymyr il Grande. Si tratta dell’ennesima missione del gruppo a favore della popolazione civile ucraina che vive nelle zone del conflitto. Viaggi organizzati in collaborazione con la Chiesa greco cattolica locale, tramite padre Ihor Boyko, rettore del seminario di Leopoli. Una precedente missione, nel mese di agosto, si era spinta fino al Donbass in villaggi mai raggiunti dai volontari comaschi. Punto di arrivo la città di Izyum, città occupata dai russi e successivamente liberata, dove sono state rinvenute alcune fosse comuni.

Qui sotto pubblichiamo la testimonianza di Giambattista Mosa (nella foto sopra, in basso a sinistra), coordinatore di Frontiere di Pace, che ha partecipato personalmente a tante “missioni” di aiuto nei territori ucraini coinvolti nel conflitto. L’obiettivo è sempre quello del primo viaggio realizzato un anno fa: portare non solo aiuti, ma vicinanza umana alle popolazioni colpite.

«Stamattina ho accompagnato mia figlia, il primo giorno di scuola, la superiora davanti ai bambini seduti ha detto: “Che bello vedervi tutti qui, questa casa acquista il suo senso con tutti voi, vuota non ha senso”. Se una scuola senza bambini non ha senso, che senso ha una scuola distrutta come quella che abbiamo visitato a Virnopyl o in altre città in Donbass con Frontiere di Pace?

Qui, una bella scuola piena di alunni, là, una scuola bombardata, la palestra distrutta, munizioni sparse sul pavimento, il tabellone del canestro sforacchiato dai proiettili, le finestre inesistenti, pavimenti e soffitti sfondati, banchi e sedie rovesciati. Accanirsi contro una scuola, è come voler cancellare il futuro; mai più insegnanti ed alunni, mai più la trasmissione dei valori, la cura dei più giovani, il villaggio che si prende cura delle famiglie. Hanno voluto cancellarne il cuore, stroncarlo; mai più vita e futuro di giovani e bambini, mai più scuola, mai più alunni ed insegnanti, mai più cura reciproca di una comunità, mai più il futuro coltivato. Solo anziani per il “futuro”. Scuola distrutta, comunità umiliata, scuola utilizzata dai soldati come base e forse centro di altre nefandezze, scuola violentata ed abbandonata.

Dentro questa scuola abbiamo camminato. Nicola trova un pallone, in palestra. Io guardo. Per me un pallone rotola, per lui che ne è appassionato, dopo anni di calcio, è una ispirazione, rimbalza sul pavimento, nel locale vuoto rimbomba, forse sposta i bossoli dei proiettili, infine, canestro con i piedi.

Non potrei mai riuscirci. Quindi guardo. All’inizio non capisco. Mi chino e osservo i bossoli dei proiettili e i proiettili a terra inesplosi. Guardo fuori dal buco del muro, i volontari di Frontiere di Pace che distribuiscono sacchetti di cibo alle poche donne del villaggio. Guardo attorno, solo erbe alte e dure davanti ai cancelli, nessuna cura fuori dalla scuola, razzi inesplosi conficcati nel suolo, rottami bruciati. Le mine, nascoste tra le erbe alte e dure, bloccano il villaggio, congelato nello stato in cui fu abbandonato dagli occupanti. Magia nera che rende tutto immobile.

Io guardo e osservo, Nicola fa risuonare la palestra dei suoi palleggi. Una volta doveva essere un suono usuale tra i ragazzi vocianti, ora appare lugubre. Nessuno pensa più alla scuola. Solo una professoressa ci accompagna dentro e ci mostra con nostalgia anni di passione per la cura degli alunni, nascosti tra i ruderi, tra i quaderni bruciati, i banchi rovesciati. Ricordi, solo ricordi.

Il pallone risuona e rimbalza, rimbalza, e fa canestro.

Frontiere di Pace “pratica” questo. Prende il pallone e lo “prova” in una palestra distrutta; prende dei sacchetti di cibo e li porta in un villaggio abitato da pochi anziani, bloccato nel tempo dalle mine, che impediscono ogni pensiero sul futuro. Frontiere di Pace ci prova.

Sperimenta un incontro con una comunità e la sua gente, prova un palleggio dentro una scuola abbandonata; forse arriverà un bambino, forse due, sentiranno un pallone rimbalzare e allora tutto potrebbe cambiare.

Se si “pensa” a quella realtà, il calcio al pallone non lo si darà mai, se la si prova a “praticare” allora quel calcio potrebbe cambiare tutto in modo inaspettato.

Da una parte la rappresentazione mentale della realtà, l’idea che ce ne facciamo, convenzionale, forse interessata o ingenua, che un po’ ci blocca, ci fa diventare distaccati e “oggettivi”, forse indifferenti e “prudenti”; dall’ altra parte, l’abitare e praticare le situazioni, sperimentare e farsi trascinare dalle emozioni e sensazioni, fare esperienze, agendo dentro la realtà creativamente, aspettandosi novità, soggettivamente con il corpo che trasmette emozioni, sentimenti, sensazioni, insieme ai compagni ed amici, sul furgone, dentro una cantina, sperimentando convivialità tra noi e con gli amici ucraini.

Vita vissuta contro vita pensata e rappresentata. Come parlare dell’amore ed essere innamorati o guardare una mappa di un percorso a tavolino ponderando i pro e i contro e praticare un trekking zaino in spalla.

Calciare un pallone e farlo roteare in una scuola distrutta ed abbandonata può non avere apparentemente senso; ma se ci proviamo qualcosa potrebbe cambiare, non sappiamo cosa, ma qualcuno potrebbe essere attratto dal rumore, raccogliere la palla e iniziare un gioco nuovo.

Bisogna “provare”, sperimentando ciò che può accadere. Vita vissuta nelle relazioni e raccontata prima della vita pensata nelle “regole e procedure”, spiegata».

Giambattista Mosa

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