Pubblicato il: 21/06/2023Categorie: La Caritas si racconta, StorieTag: , ,

Il “Dormitorio comunale di Como”, la struttura gestita dalla Caritas diocesana e operativa dal 2010 in via Napoleona 34 nella sede storica dell’Ozanam, è il centro di accoglienza notturno annuale per le persone senza dimora che vivono nel capoluogo. Il dormitorio può ospitare ogni giorno dell’anno 56 persone italiane e straniere regolarmente soggiornanti (di cui 7 donne) in 18 stanze condivise.
Abbiamo fatto il punto della situazione e tracciato un bilancio dell’attività svolta nel 2022 dalla struttura di via Napoleona che, lo ricordiamo, si affianca al dormitorio “Daniele Comboni” presso i Padri Comboniani di Rebbio, aperto nel 2017 e coordinato anch’esso dalla Caritas diocesana – attraverso la sua Fondazione Caritas Solidarietà e Servizio Onlus – in sinergia con la parrocchia di San Martino.
Lo spunto ci è dato dalla recente Relazione sociale relativa all’anno 2022 del Dormitorio di via Napoleona. Ne abbiamo parlato con Samuele Brambilla, l’operatore della Caritas diocesana responsabile da quasi 3 anni del servizio.

«Nel 2022 abbiamo accolto 125 persone che hanno fatto almeno una notte – afferma Samuele – Gli italiani sono stati 39 (32 uomini e 7 donne) e 86 stranieri (74 uomini e 12 donne). La maggior parte degli ospiti hanno un’età compresa tra i 50 e i 60 anni (tra questi 21 italiani e 13 stranieri), poi un altro gruppo importante è tra i 40 e i 50 (10 italiani e 17 stranieri). Ricordo che nel 2021 gli ospiti sono stati 126, quindi il servizio ha registrato un andamento quasi identico all’anno precedente».

Chi è l’ospite del dormitorio? E quali sono le problematiche che affrontate con maggiore frequenza?
«La popolazione del dormitorio, essendo un servizio a bassa soglia, è rimasta molto eterogenea – continua Samuele – Abbiamo accolto persone con diverse tipologie di dipendenze, con fragilità̀ psichiatriche o psicologiche, povere di relazioni sociali e/o di risorse economiche. A causa delle insufficienti alternative abitative sul territorio e/o dei requisiti di accesso alle altre strutture ricettive, il dormitorio ha anche accolto persone con entrate economiche proprie – in particolare beneficiari di Reddito di Cittadinanza o di assegno di invalidità, persone con lavoro non regolare o sottopagato e ultimamente anche pensionati – ma che nel tempo non hanno più potuto sostenere o contribuire all’economia personale e famigliare. Nel corso dell’anno il dormitorio ha poi dovuto far fronte a un’altra emergenza del territorio: la presenza di un numero sempre crescente di minori stranieri non accompagnati. Per questo motivo dal mese di febbraio 2022 a fine anno abbiamo riservato due posti in camera doppia a loro uso esclusivo registrando sino al 31 dicembre la presenza di 45 ragazzi, dati in aumento nel 2023».

Samuele, complessivamente i dati confermano l’andamento del servizio simile a quello del 2021…
«Direi di sì. Abbiamo avuto un decremento nell’inverno 2021-2022, a causa dell’apertura del servizio del Piano Freddo in via Borgovico e di conseguenza da novembre a marzo abbiamo registrato una media di 5/6 posti liberi. Successivamente, da maggio 2022, abbiamo mantenuto il trend normale. Nel 2023, ma anche negli ultimi mesi del 2022 – su invito del Comune di non tenere troppi posti liberi ma sfruttarli anche per le persone che vengono da fuori territorio – il servizio ha ripreso a piano regime. Ciò è positivo, perché abbiamo ragionato in un’ottica di sistema e sfruttato al meglio i posti disponibili. Non ultima cito la collaborazione stretta che si è aperta e concretizzata, su impulso dei servizi sociali comunali, con Ozanam, un’altra struttura d’accoglienza del territorio, che offre diverse tipologie di servizi a cifre economicamente contenute».

Anche il Progetto Betlemme, l’accoglienza notturna temporanea di 2 o 3 senza dimora accolti in locali di alcune parrocchie sul territorio ha avuto un ruolo importante…
«Avere incrementato i posti – dice Samuele – significa aver ottimizzato l’accoglienza sul territorio e anche il Progetto Betlemme, che è cresciuto in questi anni e ha accolto uomini, donne, coppie, o singole persone è stato determinante. Quindi, avendo avuto le strutture piene, siamo riusciti a contenere il più possibile il numero delle persone che sono rimaste, per diversi motivi, e di conseguenza mi sento di dire che questa gestione è stata positiva».

Cosa fareste per migliorare la situazione? Preferireste un’accoglienza più diffusa sul territorio, tanti alloggi con poche persone, per esempio come l’accoglienza del Progetto Betlemme? O anche più mirata per i casi più fragili?
«Da una parte sono contento che il dormitorio sia una struttura aperta alle povertà – afferma Samuele – dall’altra non può essere l’unico punto di approdo. Dubito che riusciremo mai a chiudere un dormitorio, come per esempio è avvenuto a suo tempo con i manicomi; è altresì lecito ipotizzare alternative a strutture con 60 posti letto e organizzate come le attuali. Insomma, noi viviamo questa doppia dimensione: da una parte cerchiamo di portare avanti un discorso di accoglienza, di accudimento, di relazione, di vicinanza, dall’altra siamo spettatori impotenti rispetto ai limiti di una struttura, di un’impostazione “antiquata”. Il Progetto Betlemme, anche se organizzato temporaneamente d’inverno per l’emergenza freddo, già rompe questa logica: negli alloggi organizzati nelle parrocchie, la micro-accoglienza è diffusa, più personalizzata, dove gli ospiti sono pochi e possono curare la loro intimità, i propri oggetti personali, una foto, un ricordo sul comodino… In un dormitorio ciò è molto difficile. Per questo auspico che nel tempo si possano pensare sul territorio più accoglienze “a misura d’uomo”».

I senza dimora escono dal dormitorio e sono in giro per strada: in inverno al freddo, in estate subendo il caldo torrido. A Como mancano luoghi di accoglienza diffusa; lo stesso Centro Diurno di via Giovio vorrebbe aumentare le ore di apertura, ma forse non è sufficiente per affrontare il problema…
«Bisogna capire cosa si intende per spazio diurno – mette in evidenza Samuele – Se dovessi ipotizzare nuovi progetti, penso sicuramente a un luogo dove sia possibile coltivare la dimensione privata e non in condivisione con più persone… piccoli alloggi curati da volontari e aperti per coinvolgere attivamente le persone in attività ricreative e di pubblica utilità».

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