La Fondazione Caritas Solidarietà e Servizio Onlus è tra gli enti capofila del servizio invernale Emergenza Freddo, il progetto coordinato dalla rete delle associazioni che nella città di Como si occupano di grave marginalità e che ogni anno porta all’attivazione di strutture per dare riparo ai senza dimora che vivono nel capoluogo.
L’apertura di questo servizio è prevista, ormai da alcuni anni, dal mese di novembre ad aprile, il periodo solitamente più freddo dell’anno. Nell’inverno 2020-2021, due sono state le strutture attivate per ospitare ogni sera complessivamente 50 senza dimora: l’ex caserma dei Carabinieri di via Borgovico 171, di proprietà della Provincia di Como e data in comodato d’uso al Comune di Como, e l’ex oratorio di San Rocco in via Regina Teodolinda 61.
Il servizio di Emergenza Freddo è reso possibile anche grazie a tantissimi volontari, giovani e meno giovani, che danno la loro disponibilità per tutto il periodo in orari prestabiliti.
Qui sotto, è possibile leggere la testimonianza di Cesare che ha prestato la sua opera al dormitorio di San Rocco come volontario.
Cesare, volontario: «Pensavo di dare… ho soprattutto ricevuto»
Maggio 2021 – «Pensavo di dare… ho soprattutto ricevuto. Fare il volontario in un servizio della Caritas è un’esperienza che ti cambia la prospettiva». Cesare, 56 anni, imprenditore, sposato con Sabrina e papà di Camilla (21 anni) e Lorenzo (17 anni) sintetizza così la sua esperienza fatta al dormitorio di San Rocco nell’ambito del progetto Emergenza Freddo dell’inverno 2020-2021. Il suo era il turno serale, dalle 20 alle 22.30, con il compito di accogliere gli ospiti che accedevano al servizio. Il the caldo, una battuta, un occhio al rispetto delle norme anti-Covid. La sua presenza era con altri due o tre volontari e sempre sotto la supervisione dell’operatore Tapha.
«Sono arrivato a San Rocco – continua Cesare – dopo aver parlato con un amico della rete che coordina la grave marginalità cittadina. Il mio desiderio era ed è mettermi a disposizione per fare del bene. Confesso che la prima sera ero un po’ disorientato, avevo timore di essere “inadeguato”. Poi ho capito che la relazione, fatta di ascolto e di condivisione, nasce e cresce in modo naturale. Basta essere se stessi. Così è stato. Impari i nomi, cogli gli sguardi, capisci le fatiche e l’altro diventa tuo “fratello”. Una persona che ora incontri in centro, con la quale scambi volentieri ancora due parole, un sorriso. Insomma, come dire, una di noi, non più estranea o “invisibile”». E ora Cesare è pronto a rilanciare il suo impegno: «Assolutamente sì, compatibilmente con il mio lavoro. Quando tornavo a casa raccontavo sempre tutto in famiglia. Ora anche mia moglie Sabrina vorrebbe dedicare un po’ del suo tempo in qualche servizio della Caritas. Il mio entusiasmo l’ha contagiata».
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