Pubblicato il: 23/09/2020Categorie: Editoriali, News
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20 settembre 2020 – Ricordando don Roberto Malgesini mi viene prima di tutto da sottolineare che non era un battitore libero, ma faceva parte di questo cammino ecclesiale di servizio ai più poveri della città, insieme alla Caritas e ai suoi volontari e operatori, così come a tante altre persone di diversa estrazione che nella città di Como si occupano di chi vive situazioni di povertà e fragilità.

Penso non solo al suo impegno per la distribuzione delle colazioni, alla mensa serale, ma anche a tutte le attività e rapporti personali che don Roberto tesseva con chi vive ai margini: chi aveva bisogno di un passaggio per l’ospedale o delle medicine, di una coperta o, più semplicemente, di una parola di conforto. Grazie alla sua mitezza e alla sua umiltà aveva una grande capacità di approcciarsi alla fatica della gente. Era un prete che viveva la sua vocazione piena in questa vicinanza umana, più che nelle formalità liturgiche. Lì don Roberto ritrovava il Cristo sofferente. Non è un caso che una delle sue frasi più ricorrenti fosse “Cosa vuole Gesù da me?”.

Ma non era, come alcuni possono immaginare, solo un uomo del fare.  Ogni mattina (don Roberto si svegliava prestissimo) prima di servire le colazioni si fermava in preghiera a lungo e, spesso, anche in adorazione davanti al Santissimo. Il suo era un fare che si nutriva della preghiera.

Oggi è un giorno triste per l’intera città di Como e ora viviamo il tempo del silenzio e della preghiera e non delle polemiche. Ma domani, quelle persone che don Roberto aiutava, saranno sempre lì e avranno ancora bisogno di vicinanza e aiuto. Per questo credo sia necessario recuperare una dimensione di collaborazione fattiva, dove ognuno possa mettere a servizio degli altri quello che è e le possibilità che ha. In modo che assieme si possa ricostruire un cammino di concordia e collaborazione, di fraternità. Perché la paura non ci faccia chiudere le porte e il martirio di don Roberto dia a tutti la capacità di ritrovare lo spazio propositivo all’interno del tessuto della città.

Tutti questi pensieri sono frutto soprattutto di un mio rapporto personale con don Roberto. Un rapporto quotidiano sostenuto non soltanto dalla vicinanza per un cammino di servizio verso le persone in difficoltà – e che noi accoglievamo in modo diverso ma con la stessa intensità – ma anche e soprattutto cresciuto a livello amichevole e che si basava su una reciproca stima e sulla condivisione di una fede vissuta sul campo a fianco dei più deboli.

In questi ultimi 15 giorni ho avuto con don Roberto alcuni incontri – per motivi personali al di fuori degli impegni di ogni giorno – che hanno aumentato questa stima, questa vicinanza e questa identità di vedute. Sono stati momenti importanti che porterò sempre nel cuore. Ricordo, per esempio, quando io, più volte, gli ho esternato la mia preoccupazione per il suo modo così libero e coinvolgente di condurre il suo lavoro quotidiano non privo di rischi e, da parte sua, la sua inquietudine nei miei confronti legata al fatto di poter riuscire a mantenere i ritmi quotidiani che erano e sono aumentati in questi ultimi mesi.

Tuttavia, alla fine, si arrivava alla medesima conclusione che ci legava fraternamente: entrambi eravamo nelle mani di Dio; quindi se Lui ci metteva – e ci mette – di fronte a queste situazioni da affrontare con grande “passione”, ci donava anche – e ci dona sempre – la forza di poter sostenerle ogni giorno. Nonostante tutto.
E l’ultimo incontro di qualche giorno fa è stato il più bello, perché è stato un incontro di preghiera di fronte a Cristo Eucaristia. E alla luce di ciò che è successo, in queste ore tragiche, mi rendo conto di quanto sia stato importante a livello personale. Potrei dire che è stato un dono bellissimo, che Gesù ha fatto a entrambi prima che le nostre strade si dividessero: don Roberto verso la felicità eterna, io per continuare questa “buona battaglia” al servizio dei più piccoli.

Un percorso che ora immagino più in salita, perché mi sento responsabile anche del pezzo di strada che lui percorreva ogni giorno. Perché mi sento il dovere morale di tenere vivi il suo impegno e la sua testimonianza, ma con la serenità di saperlo vicino anche se in modo diverso e di avere un intercessore in più presso il Padre. Un Padre, non dimentichiamolo, che ci aiuterà sempre a sostenere il cammino che ci resta da fare.

Grazie, carissimo don Roberto, per la tua vita splendida e per la tua fraterna amicizia.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana

 

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