24 marzo 2022 – A colloquio con Laura Stopponi, referente per l’Europa di Caritas Italiana, rientrata nei giorni scorsi da una missione di monitoraggio in Romania, Moldavia e Polonia.
Una delegazione di Caritas Italiana ha fatto visita nei giorni scorsi ai confini dell’Ucraina per toccare con mano la situazione sul terreno e meglio coordinare gli interventi di sostegno – già avviati anche grazie al contributo di 50 mila euro donato dalla Caritas diocesana di Como – alla rete Caritas attiva in Ungheria, Polonia, Romania, Moldavia, Slovacchia.
Al fianco del direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello, c’era anche Laura Stopponi, referente per l’area Europa a cui abbiamo chiesto un bilancio di questa visita. «Sono stati giorni intensi – racconta – in cui abbiamo toccato con mano la tragedia che stiamo vivendo. A tutti i confini visitati in Romania, Moldavia e Polonia (le tre tappe del viaggio, ndr) abbiamo visto la stessa scena: intere colonne di donne e bambini, anziani, persone con disabilità in fuga».
Una situazione drammatica…
«Colpisce vedere persone che fino a pochi giorni fa avevano una vita normale, ora sono costrette alla fuga. Fa male sentire le loro storie, i racconti di quanti sono morti nei bombardamenti. Ma in tutto questo dolore mi ha profondamente colpito vedere la grande solidarietà che si è messa in moto. A partire proprio dalle comunità locali: sono migliaia i volontari giovanissimi che in ogni confine si sono attivati di concerto con le autorità e le Caritas locali: penso in particolare ai colleghi in Moldavia, un paese povero dove a fronte di una popolazione di 2,6 milioni di persone ne sono già state accolte 370 mila. Ma anche in Polonia e Romania è lo stesso».
L’ultima tappa del vostro viaggio è stata in Polonia, Paese che accoglie più di 2 milioni di persone. Come avete trovato i vostri colleghi?
«Stravolti e sommersi dal lavoro. La cosa positiva è che la Chiesa polacca è una realtà forte, strutturata e radicata sul territorio. Tutti hanno aperto le porte e questo ha permesso di reggere il peso di arrivi così massicci. Ma la situazione è difficile, non possiamo nasconderlo, perché oltre a doversi occuparsi dell’accoglienza nel quartier generale della Caritas a Varsavia si coordinano gli aiuti alle due Caritas Ucraine».
In che modo?
«È stata creata una rete di magazzini a ridosso del confine dove vengono portati gli aiuti, la maggior parte dei quali è acquistata in loco da Caritas Polonia. Da qui i beni entrano poi in Ucraina grazie a dei piccoli pulmini e successivamente distribuiti. Questo permette di velocizzare gli invii e di acquistare solo quello che realmente serve».
A Varsavia avete incontrato anche i colleghi ucraini…
«Ho letto sui loro volti tanta tensione e fatica. Non è facile lavorare in un Paese in guerra perché vuol dire continuamente dover ripensare la propria organizzazione a seconda di come si muove la guerra e di conseguenza la popolazione (ricordiamo che gli sfollati interni al Paese sono 6.5 milioni, ndr). Nonostante questo continua la distribuzione di generi alimentari, l’allestimento di tende e ripari, ma anche il supporto psicologico e l’orientamento verso chi vuole lasciare il Paese. Quest’ultima non è solitamente un’attività propria di Caritas ma in contesti come questo si lavora anche per favorire, il dialogo con le autorità, la fuga specie dei soggetti più fragili».
Alla luce di quanto visto come Caritas italiana conta di sostenere queste realtà?
«Abbiamo un operatore in partenza per la Moldavia con l’obiettivo di affiancare e sostenere lo staff della Caritas locale. La Moldavia, insieme alla Romania, è apparsa come la realtà più fragile e per questo, anche a fronte di una loro esplicita richiesta, abbiamo deciso di sostenerle. Continuerà, inoltre, il sostegno a Caritas Polonia e alle Caritas Ucraine per l’invio di aiuti mirati e di sostegno economico. Per il resto vedremo come evolverà la situazione perché fino a quando durerà la guerra sarà difficile pensare ad interventi che vadano oltre l’emergenza. Non mancherà inoltre il nostro sostegno morale fatto di vicinanza a quanti sono oggi in prima linea».
Vi è poi il tema accoglienza in Italia…
«Certamente. La maggior parte delle persone incontrate ci ha espresso il desiderio di restare vicino ai confini ucraini nella speranza di poter presto rientrare nelle proprie case, ma più si prolunga il conflitto più l’esodo si allargherà e con esso il numero di quanti raggiungono il nostro Paese (attualmente oltre 60 mila, ndr). Come Caritas italiana, al fianco delle Caritas diocesane, ci stiamo attivando per garantire un’accoglienza il più possibile organizzata e coordinata. I corridoio umanitari in partenza da Varsavia con l’arrivo dei primi profughi a Roma in aereo va proprio in questa direzione».
Michele Luppi
(tratto da “il Settimanale della Diocesi di Como”)
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