
16 settembre 2021 – Ieri, 15 settembre, è stata una giornata di intensa preghiera e di viva commozione nel ricordo di don Roberto Malgesini, a un anno esatto dalla sua morte.
La Chiesa comense, la città di Como, la comunità della nativa Regoledo (Sondrio) e coloro che lo hanno conosciuto e stimato si sono stretti in un simbolico grande abbraccio poiché in tutti sono ancora vivi il dolore per la sua uccisione – per mano di un senza dimora che aveva sempre aiutato – e lo stupore per la sua testimonianza di vita evangelica, fatta di dono verso tutti e soprattutto verso i più deboli.
La giornata è stata scandita da tre momenti significativi.
Alle 7 di mattina – nell’ora in cui il “don” veniva colpito mortalmente – è stato recitato il Santo Rosario dai fedeli della comunità pastorale Beato Scalabrini, guidati dal parroco don Gianluigi Bollini. La recita del Rosario – alla presenza anche di alcuni volontari che proseguono l’impegno di don Roberto accanto ai poveri – si è alternata alla lettura di brani di scritti e di preghiere di Santa Teresa di Calcutta, per la quale don Malgesini aveva una predilezione speciale.
Largo Don Roberto Malgesini
Nel pomeriggio alle 17.30, l’area antistante la chiesa di San Rocco a Como – il luogo dove fu ucciso don Roberto – è stata intitolata proprio al sacerdote.
Una cerimonia semplice che ha visto intervenire il sindaco di Como, Mario Landriscina, e il vescovo, monsignor Oscar Cantoni. Con loro erano presenti autorità civili e militari, alcuni sacerdoti e volontari che collaboravano con don Roberto. Nella piazzetta è stata posizionata una croce in ferro battuto, semplice, significativa, infissa in una pietra di Moltrasio.
A donare il manufatto la Diocesi, come espressione di gratitudine alla Città per aver accolto, nelle preposte sedi istituzionali, la richiesta di ricordare don Roberto con un segno che fa memoria del suo sacrificio e permette alle persone di fermarsi a riflettere e pregare in quel luogo. L’iniziativa di dedicare un’area della città e un’opera al ricordo di don Roberto Malgesini, infatti, era stata proposta dal vescovo Oscar e presentata dal sindaco Landriscina al Consiglio comunale, dove è stata accolta all’unanimità.
La Santa Messa presieduta dal Vescovo
Alle 20.30, nella parrocchiale di San Bartolomeo – che con quella di San Rocco, dove viveva don Roberto, costituisce la comunità pastorale Beato Scalabrini – monsignor Oscar Cantoni ha presieduto la Santa Messa.
Il vescovo Oscar ha ricordato come, nel corso dell’ultimo anno, la figura di don Roberto abbia suscitato interesse in tante persone e in molte parti del Paese.
Molti si sono commossi per la sua testimonianza di vita e si sono interrogati sul modo di essere cristiani. In particolare, monsignor Cantoni ha proposto al clero diocesano di verificare come ciascuno viva il proprio ministero, a partire dai tratti visti in don Roberto, il cui stile – secondo il vescovo – non deve essere imitato, perché irripetibile, ma può essere colto.
Monsignor Cantoni ha poi ricordato le tappe di una sorta di “evoluzione spirituale” che hanno portato don Roberto a essere quel prete che tutti hanno potuto conoscere, ricevendo di fatto, una “vocazione nella vocazione”.
Qui sotto, il testo integrale dell’intervento del Vescovo in occasione dell’evento nel pomeriggio a San Rocco e l’omelia pronunciata alla Santa Messa nella parrocchiale di San Bartolomeo.
L’intervento del Vescovo alla cerimonia del pomeriggio
L’omelia del Vescovo alla Santa Messa
Pubblichiamo il ricordo dell’operatrice della Caritas diocesana di Como, Anna Merlo, che con don Roberto ha percorso un importante e coinvolgente cammino di strada professionale e umano.
«È da un anno che il Don non è più fisicamente con noi, ma non c’è giorno che non ci venga a trovare: lo fa attraverso la sua foto che abbiamo proprio in corridoio, dove passano tutti mille volte al giorno, ma soprattutto ci viene a trovare attraverso le persone che lo hanno amato e che lui ha aiutato.
Il Don è la prima persona che saluto la mattina appena entro in ufficio ed è l’ultima che saluto la sera quando me ne vado.
Ogni tanto gli mando un bacio, ogni tanto gli chiedo di aiutarmi, ma sempre come se fosse ancora davanti a me.
Portare la sua eredità è impegnativo, non sarò mai capace di amare in modo totale come faceva lui, ma ci provo; e quando uno dei “nostri” mi chiama “mamma” o quando riesco ad aiutare qualcuno a compimento di quanto iniziato assieme al Don, penso che siamo fortunati.
Lui è ancora tra noi in ogni fratello più piccolo che ha portato per mano finché è salito in cielo. E ci ha detto: avete capito che si può fare, adesso andate avanti voi».
Anna Merlo, operatrice di Porta Aperta
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