15 maggio 2012 – L’attività di accoglienza e di vicinanza alle persone che vivono la grave emarginazione – che non sono soltanto persone extracomunitarie, ma anche italiani – ci ha portato a conoscere a fondo la situazione dell’immigrazione a Como. Questo fenomeno anche nella nostra città è molto articolato e non è solo da attribuire alla grave emarginazione, perché sono diversi i canali che portano sul nostro territorio persone che arrivano oramai da tutto il mondo.
In questo momento credo non sia costruttivo rivendicare quello che noi facciamo in favore degli immigrati o denunciare le presunte o vere inadempienze delle amministrazioni passate, ritengo invece indispensabile approfondire la conoscenza di questa realtà in modo documentato e non pregiudiziale.
Occorre innanzitutto distinguere diverse tipologie di immigrati: c’è una immigrazione che è legata a calamità naturali e che in questi ultimi anni ha portato sul nostro territorio famiglie dal Sud America o dai Paesi dell’Africa Subsahariana;
c’è una forte immigrazione di donne provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est: Romania, Moldavia, Ucraina, Bulgaria, in ricerca di lavoro come badanti o nell’ambito del para-medico;
c’è una immigrazione legata alle guerre che in questo momento insanguinano l’Asia (Pakistan, Afghanistan, Iraq), l’Africa (Paesi del nord Africa), e a questo filone di immigrazione è legato anche l’arrivo dei 120 profughi ospitati in varie strutture private e comunali;
c’è un’immigrazione turca, legata all’ambito della ristorazione, e cinese legata sia alla ristorazione sia all’artigianato, che ha portato sul nostro territorio molte famiglie.
Siamo certi che, se la nostra città vorrà affrontare il futuro in una prospettiva di sviluppo e di crescita, dovrà imparare a vivere accogliendo e integrando gli immigrati, dovrà essere capace di riformulare con l’apporto di tutte le culture presenti sul nostro territorio un nuovo modo di organizzare la società, dovrà far sintesi di queste culture sapendo cogliere quello che ci unisce e rifiutare quello che divide.
Siamo certi che il futuro della nostra città sarà sempre più multirazziale: ci siamo resi conto ad esempio, attraverso il contatto con le nostre parrocchie, che solo gli immigrati cristiani formano una “parrocchia virtuale” di più di 4.000 persone.
Di fronte a questo quadro che rappresenta la realtà del territorio della nostra città, ci chiediamo quali siano le iniziative che ci sentiamo di dover suggerire, perché nel futuro della nostra città gli immigrati non vengano più visti solo come un problema o come una risorsa lavorativa a basso costo.
Secondo il mio parere dobbiamo tenere presenti alcune direttive.
La conoscenza: serve una attenzione maggiore da parte di chi governerà il territorio nel conoscere e nel fare conoscere, senza pregiudizi, queste problematiche.
L’istruzione: è importante, sia per gli adulti ma soprattutto per i giovani, la conoscenza della lingua, ma anche della cultura, delle tradizioni e soprattutto delle leggi che governano la nostra società.
La salute: occorre tutelare soprattutto le fasce più indifese, come donne, bambini e anziani.
La casa: serve un piano abitativo che metta in condizione di poter accedere al bene casa, evitando di ghettizzare gli immigrati nelle periferie o in determinati quartieri della città (via Milano, zona San Rocco, Rebbio, Camerlata, Prestino) o di costringerli a rivolgersi, oltre che alle strutture pubbliche (come i dormitori) alla rete sommersa e illegale di sub-affitti.
La religione: la nostra tradizione cristiana (ma anche la nostra Costituzione) ci dovrebbe trovare aperti nel permettere a tutti di vivere e praticare in modo adeguato il proprio credo religioso; è importante che si risolva nella nostra città il problema annoso dei luoghi di culto e, se rimandiamo ancora, lasciamo spazio a estremismo e fondamentalismo.
La cultura: non si deve restare indifferenti alla passione con cui molti immigrati si associano per mantenere vive le radici della propria cultura e delle proprie tradizioni.
La politica: occorre fare in modo che tutte le persone che abitano sul nostro territorio abbiano la possibilità di essere rappresentate, non da altri, ma da componenti delle loro etnie.
Credo che in questo cammino difficile e anche impopolare, in un ambiente sociale e politico chiuso e un po’ egoistico, come quello della nostra città, la differenza la potrà fare l’impegno di tutti, soprattutto del mondo del volontariato, e la capacità che si dovrà avere di lavorare in sinergia, pubblico e volontariato sociale, nell’affrontare e risolvere questi nodi che ho indicato partendo dal principio che all’uomo in difficoltà non si deve dare per carità quello che gli spetta per giustizia.
Roberto Bernasconi, direttore Caritas diocesana di Como
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