
7 aprile 2022 – «Il mio primo contatto con la Caritas diocesana di Como è stato fortuito… o forse provvidenziale. Nel 2010 vivevo a Cassina Rizzardi e davo una mano in parrocchia con il gruppo missionario. In un incontro di formazione che avevamo organizzato venne invitato il direttore Roberto Bernasconi che ci raccontò di sé e della Caritas. Dopo l’incontro presi con lui un appuntamento, andai nell’allora sede di via Grimoldi, conobbi alcuni operatori e decidemmo insieme di collaborare nell’ambito della formazione e dell’educazione alla mondialità, due ambiti da me seguiti nella famiglia comboniana da cui provenivo. Roberto fu così il primo aggancio a Caritas – se vogliamo inconsapevole – dentro un personale percorso di ricerca di spazi di impegno e di servizio in particolare rivolto agli ultimi. Fino al 2015 sono stato semplicemente volontario, poiché ero farmacista, poi quell’anno sono stato assunto come operatore. Una svolta di vita».
Sono le parole di Rossano Breda, dal 25 marzo scorso nominato dal vescovo Oscar Cantoni nuovo direttore della Caritas diocesana di Como e chiamato a raccogliere l’eredità del diacono Roberto Bernasconi scomparso il 17 marzo scorso.
«La spiritualità comboniana fa parte del mio percorso umano – continua Rossano – e vorrei che la Chiesa stessa vivesse ogni giorno la dimensione missionaria, fosse la Chiesa dalle porte aperte predicata da papa Francesco, la Chiesa dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, capace di annunciare con forza e con gioia il Vangelo nel mondo d’oggi. Questa dimensione missionaria si lega strettamente alla carità, cioè non c’è missione senza carità e non c’è carità senza missione. La Caritas stessa è un luogo privilegiato di annuncio. Sicuramente questo è uno dei temi che continueremo a sviluppare dentro e fuori le comunità».
Quali sono stati i tuoi primi passi in Caritas?
«All’inizio ho sostituito l’operatrice Rossella a Porta Aperta, ma in prospettiva si pensava anche a un mio impegno sul fronte della formazione pastorale. Questo servizio mi ha offerto la possibilità di inserirmi subito in un contesto definito; in seguito quella dimensione di incontro con gli ultimi, con i poveri è diventata fonte imprescindibile per intraprendere i percorsi nell’ambito dell’azione pastorale. Quante volte nei momenti formativi ho citato un colloquio, un incontro con i poveri avvenuti a Porta Aperta. Un impegno che ho voluto sempre mantenere, in modo tale che il servizio attivo diventasse sempre e comunque fonte di intuizioni, di contenuti da portare poi nell’animazione pastorale».
Papa Francesco dice che i poveri ci evangelizzano. Tu ami spesso citare questa frase…
«Chi sono i poveri? Sono coloro che ti permettono di rileggere la realtà alla luce del Vangelo e nella concretezza delle cose che vivi. E così ti offrono anche preziose occasioni di conversione. Caritas in questi anni mi ha insegnato esattamente questo e su tutti Roberto, ma non soltanto lui. La carità, l’attenzione all’ultimo con il quale cerchi di metterti almeno idealmente allo stesso livello, ti consentono di uscire dall’idealismo, dal romanticismo, dalla domanda perché aiutare i poveri. No, prima di tutto la domanda di fondo è per Chi e non perché. E in questi sette anni ho riscoperto che vivere la carità è soprattutto un’obbedienza al Vangelo. Se vuoi lasciarti convertire dal Vangelo devi incontrare il Vangelo vivo nel povero che arriva a raccontarsi a Porta Aperta, nel collega che si apre al dialogo personale, nella persona che dice “ho bisogno di confrontarmi, di essere ascoltata”».
Un altro motore del tuo agire è rispondere alla domanda: “il tanto che ho ricevuto nella vita come lo restituisco?”…
«Questo è stato l’anelito di tutta la mia vita, sin da giovane. Era così in parrocchia, con il gruppo giovani che si impegnava con i disabili; è stato così nella mia attività missionaria in Brasile dal 1999 al 2003. Un anelito sorretto anche con la frequentazione assidua della Bibbia, sulle orme e l’insegnamento del Cardinal Martini. Io sono stato fortunato – o benedetto – perché tantissime occasioni e opportunità mi hanno consentito di aprire realmente gli occhi. Poi, in tutto questo, c’è anche tantissima fragilità, consapevolezza del limite. Però ho capito che proprio attraverso il limite Dio agisce nella storia delle persone».
Torniamo al tuo nuovo ruolo: quale impronta vuoi dare alla tua direzione?
«La parola che mi viene in mente è continuità. Continuità con uno stile che Roberto non aveva mai osteggiato, ma al contrario ha sempre sostenuto, cioè essere famiglia prima di tutto. Se attraverso la tua professione, il tuo lavoro e con l’aiuto dei tuoi colleghi puoi fare bene il bene, allora sei sulla strada giusta. In questi anni ho imparato che o si cammina insieme o non si va da nessuna parte. E che la prima carità a cui siamo chiamati come operatori Caritas è gli uni verso gli altri. Se c’è una cosa che ho sentito forte sin dal mio primo giorno in Caritas è: nessun giudizio, nessuna preclusione, grande apertura, disponibilità ad accogliere talenti e capacità nuovi. Quindi anche il luogo del lavoro è un luogo di continua conversione, perché il Signore attraverso le persone che incontri ti rivela sempre un pezzettino di sé, sempre diverso, sempre ricco, sempre nuovo».
Essere direttore di una Caritas con il territorio più esteso d’Italia ti intimorisce?
«Sono disponibilissimo a imparare. E cercherò l’aiuto di tutti. Sono sicuro di avere ottimi collaboratori su tutto il territorio, persone che da anni stanno facendo un lavoro straordinario. A loro mi affiderò tanto. Il confronto con i coordinatori dei servizi sarà organizzato e sistematico, per permettermi di essere costantemente aggiornato. In una diocesi così vasta sarà importante ascoltare chi vive nelle comunità ai vari livelli in maniera protagonista. Il vescovo Oscar ci chiede, inoltre, di dimostrare la vicinanza del direttore e del direttivo ai territori. Lui ci vede animatori pastorali prima che uomini e donne d’azione».
Caritas si avvale di una rete virtuosa, fatta di tanti volontari. Poi ci sono alcuni progetti in itinere che vanno sostenuti, come la mensa di solidarietà di Casa Nazareth e l’accoglienza diffusa dei senza dimora del Progetto Betlemme…
«Se nasce un’intuizione che trova un terreno fertile per qualsiasi tipo di iniziativa, li dobbiamo investire. Casa Nazareth parte dall’intuizione di una congregazione religiosa che affida alla Diocesi un progetto che non può più sostenere; il Progetto Betlemme è la risposta generosa delle comunità parrocchiali alla domanda di accoglienza notturna temporanea di persone senza dimora. Da ciò nascono processi virtuosi e generativi che la Caritas ha il compito di stimolare e sostenere, senza cadere nell’errore di pensarsi la protagonista principale. E non dimentichiamo che questi progetti sono il risultato di una Chiesa viva e che crede».
Pandemia e guerra in Ucraina: la Caritas sempre pronta nelle emergenze e alla solidarietà…
«La pandemia ha causato tante diseguaglianze ed esasperato le povertà, le separazioni sociali. La Caritas diocesana ha risposto in questi mesi senza mai chiudere un giorno i servizi, coordinando le tante azioni di solidarietà nate a livello personale e nelle comunità e sostenendo le iniziative a favore delle famiglie in difficoltà come il Fondo diocesano Solidarietà Famiglia Lavoro 2020 che ha aiutato più di 1.500 persone. Ora la crisi ucraina ci vede impegnati ad accogliere uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra. La raccolta di aiuti economici è in corso ed è cospicua (oltre 400 mila euro, ndr) grazie all’intervento di tante persone generose. A Casa Nazareth sono state ospitate in queste settimane 14 persone (adulti e minori) in 7 stanze e l’accoglienza continuerà anche nei prossimi mesi. Sul territorio anche le comunità parrocchiali – oltre a tantissimi privati – stanno facendo la loro parte e proprio per conoscere nel dettaglio l’entità dell’accoglienza stiamo mettendo a punto una ricerca che sarà costantemente aggiornata. L’obiettivo, oltre a informare la diocesi nella persona del vescovo, è di conoscere il lavoro fatto finora e stimolare altre realtà e persone a fare altrettanto in un processo virtuoso e generativo».
Come affronterai il dialogo con le altre realtà istituzionali impegnate sul territorio?
«Sento la responsabilità di esprimere uno stile che la Caritas diocesana porta avanti da sempre, cioè la collegialità; che le decisioni siano sempre il frutto di una concertazione e di una condivisione. Il rapporto con le istituzioni sarà sempre mediato dalla necessità di capire chi di noi, in quel momento, sarà la persona più opportuna a mantenere la relazione su quel problema. Non è detto che sarà sempre il direttore, ma potrebbe essere l’operatore più competente, più coinvolto, che ha più caratteristiche per essere messo a confronto con le istituzioni. In quest’ottica vedo azzeccata e in continuità con lo stile Caritas anche la scelta di avere due vicedirettori impegnati su due territori distinti della diocesi. Avere una squadra di persone competenti, di grande esperienza e soprattutto coese mi rende sereno».
Chi è il nuovo direttore
Rossano Breda è nato a Varese nel 1965 ed è residente a Mozzate, in provincia di Como.
Si è laureato in farmacia (Milano) nel 1992 e ha svolto questo lavoro dal 1990 al 1995 e dal 2009 al 2015, in Provincia di Varese e di Como.
Nel 2003 ha conseguito la laurea in teologia (San Paolo, Brasile).
Tra il 1999 e il 2003 ha vissuto una lunga esperienza missionaria in Brasile, occupandosi in particolare dei ragazzi di strada in situazione di rischio e lavorando col CEB’s (Comunità Ecclesiali di base).
È operatore della Caritas diocesana dal 2015, dopo aver svolto per circa 5 anni un servizio di volontariato nell’ambito della formazione.
Al momento della nomina Rossano era referente diocesano per la Pastorale e operatore a Porta Aperta, il coordinamento dei servizi per la grave marginalità della città di Como.
È sposato dal 2013 e ha due figli.
Ama leggere e approfondire temi di attualità, attraverso riviste e libri a tema.
Questa intervista è pubblicata su Il Settimanale della Diocesi di Como del 7 aprile nella pagina a cura della Caritas diocesana.
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