15 novembre 2014 – È sempre difficile parlare di una persona come Piercesare Bordoli, che tanto ha dato alla sua città e alla cultura comasca, perché c’è il rischio di ripetersi o di fare dei discorsi di circostanza.
Credo allora di dover partire da quelli che sono i miei ricordi personali, di un rapporto nato in modo istituzionale all’interno del Consiglio Ozanam, di cui entrambi facevamo parte, e che si sono evoluti in un’amicizia vera e profonda della quale oggi posso rendere testimonianza. Un’amicizia che è nata e si è sviluppata in un ambito preciso: quello della carità vissuta in modo concreto e, alla maniera comasca, nella riservatezza.
Una qualità, quella della riservatezza, che ho subito colto in lui – persona che per professione e per impegni associativi era spesso esposta al pubblico – e che lo portava a saper cogliere il senso profondo e autentico dell’impegno a favore di tante opere di cui era o promotore o sostenitore attivo; opere che sono state funzionali alla promozione della qualità di vita degli uomini e delle donne che vivono sul nostro territorio, qualsiasi fosse la loro provenienza o il loro ceto sociale.Un’altra qualità che ho potuto apprezzare e che ho potuto condividere pienamente è quella del suo pragmatismo – sostenuto da un entusiasmo e da un ottimismo inesauribile – che lo ha portato a progettare e sostenere nuove iniziative fino all’ultimo periodo della sua vita.
Ci eravamo confrontati poco meno di due mesi fa sul futuro della sua Associazione, anche alla luce dei cambiamenti del nostro territorio, che in questo momento storico ha bisogno di scelte coraggiose, non di chiusura, bensì di apertura, con una sguardo capace di superare la nostra convalle, per proiettarci nel mondo.
Quello che però ci ha messi subito in sintonia è stata la nostra origine, il nostro essere comaschi “doc” e la passione condivisa per la cura del dialetto.
Essere comaschi come ci ha insegnato Piercesare vuol dire essere concreti, sapersi assumere le proprie responsabilità fino in fondo, sapere superare le logiche di parte e della burocrazia, perché il bene comune – il bene delle persone che vivono nella nostra città – viene prima di tutto e per questo è giusto battersi, è giusto lavorare.
Questa sobrietà sono certo che l’ha accompagnato anche nella sua vita di fede; la traduzione e la divulgazione dei Vangeli in dialetto non è stata un’operazione nostalgica, ma un modo concreto per incarnare il messaggio cristiano nella nostra società: noi comaschi quando abbiamo da comunicare qualcosa di grande, qualcosa di vero per cui vale la pena spendersi lo facciamo in dialetto e Piercesare questo Vangelo in dialetto lo ha reso concreto con le opere che, attraverso il suo interessamento e la sua cura costante, si sono potute realizzare.
Una delle ultime opere di restauro volute dalla Famiglia Comasca è stata quella dell’altare della Madonna della basilica di San Fedele.
Che Maria aiuti allora il nostro fratello Piercesare a compiere l’ultimo viaggio che lo porta alla casa del Padre dove, sono certo, non si fermerà in contemplazione, ma con l’operosità e il buonsenso comaschi si metterà a disposizione dicendo: «démas da fà».
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
Condividi questo articolo
Continua a leggere