In questo periodo dell’anno la Chiesa ci invita a riflettere sulla vita ma anche sulla morte, con la festa dei Santi e la commemorazione dei Defunti e ci aiuta a riscoprire una dimensione familiare e comunitaria anche attraverso il ricordo delle persone che ci hanno lasciato dopo avere compiuto un tratto di strada, nella propria vita, insieme a noi.
Il dolore, il rimpianto, ma soprattutto il ricordo e la riconoscenza sono sensazioni umane che ci aiutano a ridimensionare i nostri progetti, che il più delle volte sono infarciti di una dose di onnipotenza o di autosufficienza e ci portano a ritenerci padroni della nostra esistenza.
La nostra fede ci sostiene in questo percorso di conversione e ci indica i santi come modello da perseguire, loro che le opere di misericordia le hanno rese concrete con la vita donata.
Opere legate alla quotidianità e alla concretezza della vita, che noi chiamiamo opere di misericordia corporale: dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati… Oggi mettiamo l’attenzione sull’ultima di queste opere di misericordia corporale, che ci invita a seppellire i morti. Credo non sia la meno, anzi, la considero fondamentale, perché senza questa non avrebbe meno senso seguire anche le altre: l’attenzione alla vita va data in tutte le sue manifestazioni compresa quella della morte. Il nostro tempo rifugge ed esorcizza la morte, la nasconde dietro un paravento. E’ necessario richiamare l’importanza di questo concetto di “vita” che comprende, nella sua interessa, anche la dimensione della morte, che la cultura contemporanea cerca di nascondere cammuffandola da maschera (vedi il successo, soprattutto commerciale, della festa di Halloween). Tutto questo, paradossalmente, rischia di farci perdere coscienza del grosso dono che Dio ci ha fatto: quello della vita, che si può comprendere fino in fondo solo se si ha il coraggio di affrontare e di capire l’esperienza del passaggio alla vita vera, quella eterna.
In questi anni, come Caritas, parecchie volte abbiamo incrociato nel cammino ordinario di accoglienza e accompagnamento delle povertà, sorella morte che, in modo improvviso o annunciato, si è presa le persone di cui avevamo cura, in modi diversi, per violenza, per malattia, per incuria personale… questi fratelli e sorelle sono stati da noi amati, seguiti anche in questo momento finale della propria vita.
Non abbiamo mai vissuto queste circostanze come una sconfitta, ma come parte ordinaria del cammino della vita, come un’opportunità di crescita, perché, attraverso l’esperienza della morte di tante persone a cui abbiamo voluto bene, ci è stata data la possibilità di scoprire la parte nascosta della loro vita, che non è mai stata solo problematica, ma è stata una vita, in qualche modo, significativa. Proprio per questo abbiamo sempre ritenuto importante onorare il corpo di questi nostri fratelli e sorelle, facendo in modo che il commiato dalla società dei viventi fosse comunitario, perché potessero ricevere quelle attenzioni che in vita il più delle volte gli erano state negate e perché le nostre comunità, attraverso questo gesto di pietà vera, ritrovino il senso della vicinanza all’altro, partendo proprio da chi ha meno possibilità.
In questi giorni i nostri cimiteri ritornano a riempirsi di persone che vanno ad onorare i propri cari, ma pochi di noi sono al corrente che, presso l’obitorio dell’ospedale S. Anna di Como, giacciono almeno tre salme di persone sconosciute, che nessuno reclama, dimenticate nella loro solitudine… mi chiedo: quale civiltà stiamo costruendo?
Noi come Caritas siamo pronti ad onorare questi corpi perché è anche attraverso tale gesto gratuito che si dà senso compiuto alla vita delle persone, anche a quelle esistenze che, alla luce della nostra società dove vali in base a quello che produci, sembrano inutili o sprecate.
Roberto Bernasconi
Condividi questo articolo
Continua a leggere