Pubblicato il: 03/11/2018Categorie: Editoriali, News

3 novembre 2018 – Il cammino di avvicinamento alla II Giornata Mondiale dei poveri, indetta da papa Francesco domenica 18 novembre 2018, ci offre l’occasione per una riflessione, ampia e reale, sulla nostra società e in quale ambito dovremmo andare a proporre i principi di condivisione, di uguaglianza e giustizia che proprio questa Giornata ci suggerisce.

Pensare di affrontare e risolvere i temi proposti in tempi brevi si rischia di far nascere in ognuno di noi una sensazione di scoramento, perché sappiamo bene che proporre alla nostra realtà queste tematiche non paga, anzi si rischia di creare nuove fratture, nuove divisioni.

Del resto, la povertà a noi va bene quando è vissuta in Paesi e luoghi lontani da noi, perché resta invisibile, perché non ne tocchiamo concretamente le conseguenze e, quindi, ci diventa facile essere magnanimi e proporre cammini che poi si riducono, per esempio, a organizzare collette (tanto per metterci il cuore in pace).

Invece, vivere e condividere la povertà sul territorio, significa farla propria fino in fondo, assumendoci in prima persona anche i risultati di questa condivisione che non sempre sono positivi, visti con gli occhi di una società superficiale e ridotta al possesso delle cose e non proiettata verso la realizzazione di rapporti umani veri.

Rapporti umani veri e autentici, che ci permetterebbero di affrontare tutte le tipologie di povertà che sono in mezzo a noi, offrendo a ogni persona in difficoltà un cammino di giustizia verso il recupero della propria dignità e di riscatto personale.

Qualche esempio?

La ricerca e l’offerta di un lavoro (e a questo proposito penso anche alle opportunità offerte dalla Caritas diocesana attraverso lo strumento del Fondo Dona Lavoro e il relativo coinvolgimento delle comunità parrocchiali sul territorio); il coraggio di affrontare (anche a livello politico) il problema delle tante, troppe abitazioni sfitte in città, sia di proprietà pubblica sia private; un’attenzione rinnovata verso l’accoglienza e l’ospitalità dei senza dimora che proprio in questi giorni cominciano a fare i conti con il freddo invernale e ai quali occorre offrire – come facciamo da anni – un riparo dignitoso.

E si potrebbe continuare ancora.

Detto ciò, mi preme sottolineare che in questo periodo storico – a livello sia locale sia nazionale – un altro tipo di povertà sta assumendo livelli sempre più preoccupanti: è la povertà culturale che ormai da troppi anni ha condizionato e “frena” l’impegno sociale e politico.

Purtroppo, questi due ambiti umani – oserei dire questi due “mondi” – sono diventati luoghi dove non ci si mette al servizio della collettività, bensì luoghi di scontro strumentale e luoghi dove il tornaconto personale spesso è l’obiettivo primario da raggiungere.

Tutto ciò sta dividendo sia la comunità civile sia quella religiosa.

Un grave pericolo, quindi, ci sovrasta.

Se viviamo la seconda Giornata Mondiale dei poveri con questa mentalità e con questo spirito, temo che questo importantissimo appuntamento sarà inutile e privo di “respiro profetico”.

Certo, ci indigneremo per l’ennesima volta per alcune povertà eclatanti evidenti a tutti, ma se non prevarrà la consapevolezza personale e non si attiverà in ognuno di noi l’impegno per cambiare le cose, ebbene tutto ciò si rivelerà una sconfitta proprio per quelle persone che a noi cristiani chiedono aiuto, rispetto e, soprattutto, coerenza.

Che è il motore della nostra credibilità.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como

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