17 maggio 2022 – Alla luce del tempo complesso che stiamo vivendo e di fronte alle sfide epocali che arrivano dal Centro Europa, ma anche da molti luoghi del mondo – con un richiamo forte ed esplicito a quanto Papa Francesco sostiene con forza in questo periodo storico, ovvero che nessuna guerra risolve un’altra guerra, che nessuna violenza risolve altra violenza, che nessun male è in grado di arginare un altro male – vorremmo proporre una riflessione che rimanda al nostro stile di vita.
E, su invito di un “profeta della pace” come don Tonino Bello, riprendere il tema di alzarci in piedi come costruttori di pace, ossia prendere in mano le nostre responsabilità quotidiane per essere attori protagonisti della pace.
Pace non necessariamente soltanto come assenza di conflitto, visto che il conflitto in termini psicologici, umani è uno strumento di confronto e crescita con l’altro e non semplicemente di scontro. Possiamo dire che alzandoci in piedi come costruttori di pace ci prendiamo la responsabilità nei nostri gesti e delle nostre azioni quotidiane per essere davvero alla ricerca autentica della pace come condizione sine qua non per costruire un bene comune a cui tutti hanno accesso nei loro diritti fondamentali.
Non ci può essere pace se non c’è un’equa distribuzione delle ricchezze, un’equa distribuzione del cibo, un equo accesso al mondo del lavoro, un’attenzione alle categorie sociali più deboli e così via. Costruire la pace, quindi, significa costruire un’umanità davvero autentica nella sua dimensione più profonda e capace di un dialogo persistente e continuo in tutte le situazioni di conflitto.
Mi piace molto ricordare questa metafora: nessun genitore, quando vede due figli litigare, darebbe un bastone al più piccolo per difendersi dal più grande; tenterebbe, invece, di separarli per cercare di capire le ragioni dell’uno e dell’altro e proporre loro un confronto, far capire che la violenza comunque non risolverebbe il loro conflitto. Insomma, non si arma un soggetto più debole perché così possa contrattaccare e alimentare il conflitto; invece, occorre proporre l’unica via possibile, quella diplomatica, cercare e comprendere le ragioni dell’uno e dell’altro e consentire il dialogo.
Credo che la sfida sia sempre chiedersi: ma io, oggi, che cosa posso fare di fronte a ciò che vedo? Non sono certo in grado di fermare una guerra o un conflitto lontano da me; tuttavia posso provare a instaurare quei comportamenti quotidiani che mi consentano di costruire, dentro e fuori di me, relazioni pacifiche.
Come dicevo prima, in questo tempo così complicato di lettura, fare appello ai profeti di oggi – ma anche del passato – può essere utile.
Ecco, allora, il rimando a una testimonianza – o meglio a una riflessione – fatta dal Cardinale Carlo Maria Martini nel lontano dicembre 2001, in occasione della Festa di Sant’Ambrogio, in una situazione di grave crisi determinata dalla tragedia delle Torri Gemelle a New York. Di fronte a quella immane azione terroristica, che provocò la morte di oltre 3mila persone, il conseguente attacco americano in Afghanistan e le crisi militari e geopolitiche tuttora in atto, quale deve essere la posizione del cristiano?
Riletta in questi giorni, la riflessione del Cardinal Martini è di una attualità davvero sconcertante. In essa possiamo cogliere alcune sollecitazioni, cadenzate per punti, che sono davvero profetiche ma anche suggerimenti per comportamenti coerenti a chi realmente vuole cercare di costruire la pace.
Ciò che urge è dirci che se non avviene un cambio radicale nella scala dei valori, se non vengono messe al primo posto la pace, la solidarietà, la mutua convivenza, l’accoglienza reciproca, l’ascolto e la stima dell’altro, l’accettazione, il perdono, la riconciliazione delle conflittualità, il dialogo fraterno e quello politico e diplomatico mentre vengono contemporaneamente messe al bando le rappresaglie della guerra, se non vengono disarmate non solo le mani ma anche le coscienze e i cuori, noi sempre avremo a che fare con nuove forme di violenza e anche di terrorismo (e, aggiungiamo noi, di guerra).
Riusciremo magari a spegnerle per un momento, ma per vederle poi riemergere impietosamente altrove.
Se vuoi la pace costruisci la pace; se vuoi gestire i conflitti, entra nel conflitto abbassando il livello di violenza.
C’è da rischiare in prima persona? Certo. Ma qual è l’obiettivo? L’obiettivo è quello di un bene comune che nella Dottrina sociale della Chiesa non è esclusivamente mirare a un mondo senza guerre, ma vuol dire costruire un mondo dove tutti abbiano i diritti fondamentali rispettati.
È ovvio che le spese militari rimandano a una riflessione più ampia: se spendo per le armi non spendo per i trattori, per la sanità, per la scuola, per i trasporti. Ma è anche vero che se ci impegniamo nel nostro piccolo a tessere relazioni sempre più pacificate dal nostro comportamento e dalle nostre scelte, sicuramente possiamo immaginare che il bene comune sia davvero alla portata di tutti.
Occorre guardare l’orizzonte, alzare lo sguardo; occorre andare oltre l’idea di risolvere il problema particolare senza guardare al macro, quindi vivere bene il locale ma con uno sguardo sulla globalità. E soprattutto non prendere decisioni spinti da emotività rabbiosa, piuttosto prendersi tempo per immaginare percorsi che forse inizialmente sembrano impensabili, ma che con il dovuto discernimento possono portare a opzioni realizzabili.
Tutto ciò nell’ottica che nulla si inventa.
Grazie alla riflessione del Cardinal Martini posso allora dire e dirmi: mi prendo in mano la mia vita, mi prendo in mano le mie decisioni, mi prendo in mano le mie opzioni fondamentali di tutti i giorni. Ponendomi domande che implicano risposte concrete: dove posso cominciare a perdonare? Quando posso cominciare ad ascoltare empaticamente l’altro? In quale circostanza posso riconciliare un conflitto? Riesco a essere costruttore di pace nei piccoli pertugi quotidiani che, in modo a volte inaspettato, mi vengono offerti da una domanda, da un caffè bevuto con un amico? E così via…
Non perdiamo mai di vista però il nostro punto saldo: l’uomo della pace è Gesù Cristo.
Il dono che fa il Risorto alla prima comunità cristiana è quello della pace. E da credenti abbiamo la certezza che alcuna pace è possibile se non partiamo dall’esperienza di fede che il vero costruttore di pace è Gesù Cristo.
Il modello di uomo a cui dobbiamo mirare è quello proposto da Gesù di Nazareth, che vive la sua quotidianità costruendo la pace giorno per giorno, momento per momento, facendo l’opzione preferenziale per gli ultimi.
Se non includiamo chi è escluso non ci sarà mai pace.
Ecco allora l’invito a leggere e meditare le sottolineature del Cardinal Martini così profonde e profetiche, guardando al nostro presente e impegnandoci a costruire la pace attorno a noi. Giorno dopo giorno.
Rossano Breda, direttore della Caritas diocesana di Como
Leggi e scarica l’intervento integrale del Cardinal Martini
Condividi questo articolo
Continua a leggere