19 luglio 2023 – Ci troviamo a vivere, in questo tempo della storia dell’umanità, un “cambiamento d’epoca” secondo la visione di Papa Francesco, una situazione paradossale al tempo dei social-media, della più grande e trasversale diffusione di mezzi digitali di comunicazione e della immensa disponibilità di informazioni sul web. La situazione paradossale è che moltissimi temi in ordine all’informazione corretta e veritiera di molti fenomeni “umani” che stanno avvenendo sotto i nostri occhi vengono volutamente posti sotto silenzio.
In prima battuta colpisce un dato “socialmente agghiacciante”: oggi, in Italia, il 9,4% della popolazione – più di 5,5 milioni di persone – sono in situazione di povertà.
Solo 15 anni fa il dato era del 3%. Siamo un Paese che non solo invecchia precocemente, che attraversa un declino demografico drammatico, che non trova posti di lavoro per i propri giovani, che abbassa il livello di prestazione del welfare nel pubblico (basta pensare a quanto tempo serva per avere una visita specialistica in regime SSN); siamo anche un Paese che non partecipa al voto politico per eleggere i propri rappresentanti e vive la totale delega nei confronti di molti amministratori che non sono spesso animati da principi di costruzione del bene comune (cfr. Documento preparatorio Settimana sociale dei cattolici in Italia, Trieste 2024).
Siamo altresì un Paese dove prevale l’immagine sulla sostanza, dove si sviluppano migliaia di profili sui social ma dove si fa fatica a mantenere una relazione “non virtuale” con il nostro vicino o collega. Siamo un gran “Bel Paese”, ma che ormai spesso fa i conti con una certa indifferenza di fronte alle politiche dissennate nei confronti dell’ambiente (speculazione cementizia nelle città, poche risorse per la salvaguardia del creato, poca valutazione d’impatto degli effetti dei cambiamenti climatici sull’omeostasi del nostro territorio e conseguenti tragedie ambientali, non ultima quella che ha appena colpito l’Emilia Romagna), nei confronti degli ultimi, dei fragili, dei “diversi” (aggettivo assolutamente improprio per categorizzare, discriminare, escludere e peggio ancora colpire con violenza verbale e fisica).
Siamo di fronte a un “cambiamento d’epoca culturale” che ha portato a identificarci con un umanesimo non globale (citando don Ernesto Balducci), ma “singolare”, ovvero tutto centrato sul singolo, sui suoi bisogni edonistici, sull’incapacità di vedersi come parte di un tutto, dove tutti hanno diritti e doveri condivisi. Dove io sono se anche l’altro è!
Il silenzio assordante è, per esempio, sulle reali condizioni sociali, politiche, ambientali e sulle loro origini storiche colonialiste e post-colonialiste di molti Paesi da cui arrivano le centinaia di migliaia di migranti che, attraversando Mediterraneo e Balkan Route, cercano salvezza nell’Europa del benessere. Senza contare che in molti Paesi – mi riferisco in particolare all’area magrebina e a quella sub-sahariana dell’Africa – ci troviamo di fronte a governi dittatoriali e corrotti, spesso sostenuti dalle politiche di real-politik dei Paesi occidentali per garantirsi lauti guadagni con le materie prime di cui sono sprovvisti.
Di tali condizioni la stampa e i media ufficiali non parlano. Si raccontano numeri, si elencano le tragedie, si danno dettagli che suscitano ondate emotive nella popolazione, ma non si fa nulla per far comprendere perché una famiglia composta da genitori e figli, spesso piccolissimi, rischia la vita su barconi fatiscenti per arrivare in una zona della “Terra comune”.
Poi si colpevolizza “lo scafista” di turno come unico responsabile del fenomeno della tratta, tralasciando di raccontare che spesso sono anche loro vittime del processo predatorio verso i migranti.
Secondo stime internazionali, il traffico di esseri umani nel mondo è equiparabile al valore generato dal traffico di droga e di armi! Forse per questo motivo, per gli interessi che si celano dietro questo fenomeno, a nessuno interessa veramente fare qualcosa per cambiarlo. A non essere incentivate le esperienze dei corridori umanitari che realtà come Caritas e Sant’Egidio promuovono e sostengono, dimostrando che si può accogliere dignitosamente e inserire i migranti nel contesto sociale con una casa e un lavoro.
Poi ci sono decine di ONG, associazioni, gruppi di volontari, che investono energie enormi nel tentare di dare una risposta dignitosa al fenomeno migratorio. E non solo in Italia ovviamente.
Il silenzio assordante è sul fatto che ancora nel 2022 abbiamo finanziato l’export di armi per un valore assoluto di oltre 5 miliardi di euro (fonte: Nigrizia, n. 7/8-23 pp 36-39), attraverso le transazioni delle principali banche italiane autorizzate dal ministero. E come direbbe il Papa finanziare il commercio delle armi non aiuta la costruzione della pace!
La contro narrazione che si può condividere è che è possibile l’alternativa. Che non è vero che si ode soltanto il rumore dell’albero che cade, mentre la foresta cresce silenziosamente.
Bisogna cominciare a cambiare il modo di comunicare e, come direbbe Papa Francesco, fare di ogni crisi un’occasione per imparare cose nuove sull’umanità.
È la narrazione dei fenomeni di trasformazione dal basso, attraverso piccoli grandi processi che partono dalla convinzione che la casa comune è abitata da uomini e donne che possono e devono condividere la fraternità. Papa Francesco li elogia e li individua ad esempio nei Movimenti popolari di base, cioè in quei gruppi sparsi nel globo che si occupano dei diritti delle minoranze, del rispetto dell’ambiente, di un’educazione accessibile a tutti, di una sanità non solo per i ricchi.
È il racconto dei tanti volontari che si dedicano “agli altri”: senza dimora, persone diversamente abili, malati, anziani.
È la testimonianza di chi crede nella partecipazione e non nell’indifferenza, e che si attiva per promuovere percorsi formativi socio-politici che aiutino le persone a capire che la delega non è la miglior forma di attivazione democratica.
Se vogliamo essere protagonisti di processi generativi e trasformativi della nostra realtà, dobbiamo assumerci anche delle responsabilità concrete, anche limitatamente alle piccole scelte quotidiane di cui siamo perfettamente consapevoli.
Ma tra le tante narrazioni “alternative” c’è sicuramente il cambio di registro da attuare nei confronti di noi stessi e di chi ci è a fianco, conosciuto e non. Dobbiamo credere fermamente nell’umanità. E, se siamo sinceri fino in fondo, ciascuno di noi è debitore dei molteplici incontri e volti incrociati nella propria vita, partendo dalla propria famiglia, allargando agli amici e così via. Ovvero siamo figli delle storie vissute, delle relazioni intessute, della disponibilità a farci modellare e quindi a trasformarci generativamente dagli sguardi e dalle esperienze che abbiamo incrociato lungo il corso della nostra vita. E se abbiamo ascoltato, abbiamo ricevuto moltissimo!
Se ciascuno facesse davvero l’esperienza di considerare la straordinaria ricchezza del dono dell’altro, dello sconosciuto, dell’incontro occasionale, come di tutte le relazioni affettive, amicali, parentali che lo hanno modellato, scoprirebbe la forza rivoluzionaria di considerarci umanità in cammino, fratelli e sorelle scelti per dare senso a questo tempo della storia.
Con l’attenzione rispettosa e inclusiva di partire dagli ultimi, dagli “scarti del sistema economico-finanziario”, sistema che Papa Francesco denuncia come causa originale di tanti processi di esclusione, sofferenza, marginalità, locale e mondiale.
Come credenti nel Cristo della Risurrezione, nel Gesù di Nazareth che ci ha mostrato il volto dell’Abbà della misericordia, siamo socialmente e politicamente molto “pericolosi”. Infatti, abbiamo nelle mani delle “Carte Costituzionali” sconvolgenti. Sono note come il Padre Nostro, come le Beatitudini della Montagna, come il Magnificat della donna chiamata Maria che con il suo sì sconvolge la storia degli uomini, come il resoconto del Giudizio finale di Matteo 25.
Potremmo già cominciare da qui, ricordandoci che il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio creatore e generatore di un amore infinito che si incarna in Gesù Cristo, morto e risorto, sceglie un piccolo resto per comunicare il suo desiderio di libertà e giustizia che ogni uomo e donna possono e devono vivere. Che suo figlio propone a un gruppetto di semplici e attempati discepoli la sfida di essere promotori di un “nuovo regno” dove prevale la misericordia, la riconciliazione, la costruzione condivisa della società, con uno sguardo privilegiato verso gli ultimi, gli esclusi del sistema.
Ecco allora che nel silenzio assordante, apparente, sorge la voce dai sotterranei della storia, che si fa udire non in modo violento, dirompente, esasperato. Una voce che dà credito ai protagonisti reali, veri, ai volti, alle storie, ai racconti di chi le vicissitudini umane le vive da dentro e non guardando dallo schermo dello smartphone e della TV. Una voce che è già segno di speranza, perché crede nel protagonismo dell’umanità, soprattutto quella che sulla propria pelle sperimenta la fatica di “non contare nulla”!
Allora re-impariamo dai nostri nonni, che la sera con dolcezza ci raccontavano le storie. Facciamo di nuovo silenzio per ascoltare le vite e non i rumori delle fake news e della informazione manipolata. Prendiamoci tempo per riacquistare spazi di umanità e ascoltare la “vera storia” che si sta sviluppando non solo a beneficio di pochi privilegiati e purtroppo a scapito di moltissimi esclusi, ma che tenta di costruire ponti e strade dove ritorna protagonista la voglia di essere parte di un’unica umanità, dove davvero per ciascuna e ciascuno sia possibile avere più dignità e rispetto.
Rossano Breda, direttore della Caritas diocesana di Como
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