
Dal 4 al 7 novembre Caritas Como si è recata in Serbia per una missione congiunta con Silvia Maraone e Mauro Montalbetti di IPSIA, Sergio Malacrida di Caritas Ambrosiana e Daniele Bombardi di Caritas Italiana, per verificare l’andamento dei progetti di sostegno psico-sociale in corso di svolgimento in alcuni campi profughi del Paese.
Il viaggio è iniziato incontrando il direttore e lo staff di Caritas Serbia, che hanno mostrato grande apprezzamento per il servizio svolto dai volontari italiani che questa estate hanno partecipato ai campi estivi organizzati da Caritas Ambrosiana in partnership con IPSIA e Caritas Como.
Dalla nostra Diocesi sono partite per la Serbia quattro ragazze che hanno svolto più settimane di servizio nei campi di Bogovadja e Krnjaca. Caritas Serbia ci ha offerto una fotografia del fenomeno migratorio in Serba. La situazione attuale si configura come una probabile quiete in attesa della tempesta.
I passaggi sono continui pur senza sovraffollamento. Transitano dalle 3.000 alle 5.000 persone al mese ma quasi nessuno si ferma per più di qualche giorno; questo fa sì che molti non vengono nemmeno registrati dalle autorità. Tuttavia, come abbiamo già notato durante la nostra visita, con l’avvicinarsi dell’inverno molti dei migranti bloccati in Bosnia, in condizioni di vera emergenza, potrebbero decidere di tornare in Serbia per essere accolti nei campi governativi. L’interesse a restare in Serbia da parte dei migranti però è bassissimo, a causa delle scarse opportunità lavorative.
Chi ha un minimo di competenze prova a raggiungere i Paesi più ricchi d’Europa, dove poter guadagnare di più e poter così saldare gli enormi debiti contratti per pagare il viaggio. Dal punto di vista dell’opinione pubblica serba, l’interesse verso i migranti sta diminuendo, ormai se ne parla come di un fenomeno normale e il livello di qualità dell’accoglienza si sta abbassando.
L’Unione Europea, che prima aveva stanziato fondi emergenziali per coprire i costi dell’accoglienza migranti, ora li fa rientrare nel capitolo di spesa dei fondi per la pre-adesione dei Paesi ex jugoslavi, senza alcun monitoraggio su come vengono utilizzati. I pochi migranti, che hanno deciso di fermarsi in Serbia e hanno chiesto la protezione internazionale, pur vedendosi riconosciuto in qualche caso l’asilo politico hanno un permesso di soggiorno serbo ma non un “documento di viaggio”, e sono di fatto costretti a non muoversi dalla Serbia.
C’è coscienza che dal punto di vista del supporto psicosociale, nonostante una diminuzione delle risorse a disposizione, molte delle quali in esaurimento nel corso del 2020, non è possibile pensare di abbandonare i piccoli progetti che mettono al centro la relazione con i migranti. Abbiamo incontrato la Caritas diocesana di Belgrado, quella di Srijem e la Caritas parrocchiale di Valjevo. Tutti hanno la consapevolezza di avere in questo momento risorse molto limitate per portare avanti gli interventi nei campi profughi, ma ci si sta organizzando per capire come non rinunciare a progetti che hanno avuto grande apprezzamento e portato notevoli benefici ai destinatari, adulti e bambini.
La rotta in Serbia potrebbe infatti tornare a breve ad affollarsi, non solo per il movimento di ritorno dalla vicina Bosnia, ma anche in conseguenza delle decisioni di Turchia e Grecia relativamente ai migranti presenti nei propri territori. Se questi infatti verranno lasciati liberi di transitare, sicuramente attraverseranno i Balcani verso la Croazia e l’affollamento sarà inevitabile.
In questo scenario una delle priorità oltre a non abbandonare il supporto psicosociale nei campi profughi, è continuare e approfondire il lavoro di sensibilizzazione e coinvolgimento della realtà locale, a partire dai giovani, motori del cambiamento, e dai pensionati, persone con professionalità e tempo a disposizione, due caratteristiche che ne farebbero ottimi volontari per operare nel contesto locale in un progetto di integrazione.
ANNA MERLO
Area internazionale
della Caritas diocesana di Como
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