13 luglio 2023 – La sintesi sta tutta in questa frase, quasi sussurrata da padre Ihor Boyko al termine dell’incontro di venerdì 7 luglio scorso all’oratorio di Maccio: «La guerra un giorno finirà, non sappiamo quando, ma finirà. Questa amicizia, invece, non finirà mai».
Il sacerdote lo dice fissando le oltre cento persone accorse per ascoltare la sua testimonianza sull’Ucraina, strette in quell’oratorio divenuto simbolo delle missioni umanitarie di “Frontiere di Pace” che, a partire dal marzo 2022, hanno trasportato fino a Kharkiv e Kherson, con la mediazione di padre Ihor e la buona volontà di decine di volontari, almeno 60 tonnellate di cibo, vestiti e medicinali.
La guerra è lontana geograficamente da Maccio, ma la sua eco e la sua presenza sembrano seguire padre Ihor e la moglie Lesya (la Chiesa greco-cattolica ammette il clero uxorato): mentre i due erano in viaggio per l’Italia la città di Leopoli – dove padre Ihor è rettore del seminario greco-cattolico – è stata colpita dai bombardamenti russi che hanno provocato quattro morti. Si è trattato dell’attacco più violento sulla città da molti mesi a questa parte. La coppia è arrivata fin qui per mantenere fede ad una promessa: «Fin dal primo incontro con i volontari di Como – racconta il sacerdote – avevo promesso che un giorno sarei venuto a ricambiare la visita e a ringraziare personalmente per gli aiuti e la vicinanza umana ricevuta in questi difficili mesi. In cuor mio speravo che questo sarebbe successo una volta finita la guerra, ma così non è stato».
Ad accoglierlo a Como l’intero gruppo di “Frontiere di Pace”, guidato da Giambattista Mosa, e il parroco di Maccio don Gigi Zuffellato che ha accompagnato padre Ihor a incontrare il cardinale Oscar Cantoni a cui ha donato un’icona. «Tante volte – ha detto don Gigi parlando ai volontari in oratorio – avete mangiato voi il pane ucraino; ospitati in seminario a Leopoli o dalle persone che avete incontrato nei villaggi e nelle città raggiunte. È bello vedere oggi l’oratorio di Maccio aperto per voi. Questo scambio di porte aperte è il contrario di quello che la guerra fa».
«Sono contento che siate qui e orgoglioso che questa piccola comunità abbia al suo interno persone capaci di prendersi a cuore la causa dell’Ucraina ma non con una solidarietà di facciata, ma venendo lì, toccando con mano la sofferenza di un popolo vittima anche dell’incapacità della politica di porre fine al conflitto», ha commentato il sindaco di Villa Guardia, Valerio Perroni.
UN’AVVENTURA CHE CONTINUA
Padre Boyko ha ricordato l’inizio di questa amicizia. «Fin dalle prime settimane di guerra era nato un legame con una dottoressa di Milano che aveva iniziato ad organizzare l’invio di alcuni aiuti prima al confine con la Polonia e poi fino a Leopoli. Un giorno ricevo sms da un numero sconosciuto in cui leggo: “Buongiorno mi chiamo Giambattista come possiamo aiutarvi”. Da lì è partito tutto e permettetemi di dire che quanto state facendo è incredibile: voi comaschi siete uomini e donne coraggiosi, perché siete gli unici che non si fermano a Leopoli, ma vanno avanti verso Kharkiv, Kherson. Durante l’ultima missione un gruppo è arrivato a 12 km dal confine russo in una zona dove arrivano pochissimi aiuti. La gente era commossa e ripeteva: “grazie perché venendo qui non ci fate sentire abbandonati”».
Accanto a padre Ihor mentre racconta della guerra e della difficile vita in Ucraina troneggia una grande cassa di legno e il bossolo di un proiettile di grande calibro. Sono stati portati in Italia da una delle missioni come segno della barbarie della guerra.
PERDONO E PACE
«Parlare del perdono in queste condizioni?», si è chiesto padre Ihor durante il suo intervento serale. «Perdonare non è facile – ha spiegato – Pensate a un giovane o un ragazzo ucraino che ha perso il papà al fronte. Il perdono sarà possibile solo quando ci sarà riconoscimento dello sbaglio fatto e ci sarà una richiesta di essere perdonati. Altrimenti ci vorrà tempo. Non penso che questa generazione riuscirà a perdonare i russi per quanto subito in questi mesi. Forse ci vorrà una generazione o addirittura due. Noi vogliamo la pace, ma che sia una pace giusta e questa si potrà avere solo se chi ci ha invaso se ne andrà e restituirà all’Ucraina il proprio territorio. Fino ad allora resisteremo».
UN IMPEGNO COSTANTE NEL TEMPO
Più volte durante la sua permanenza nel comasco padre Boyko ha ripetuto la parola “grazie”. E lo ha fatto con il cuore, a tratti commosso. Grazie alle parrocchie di Maccio e Rebbio, ai loro parroci, alla Caritas diocesana, ai tanti volontari, non solo quelli che partecipano ai viaggi, ma anche e soprattutto a quanti lavorano nell’ombra. Grazie a chi ha donato e continua a farlo. «Vorrei che il mio grazie – ha detto – arrivasse anche ai familiari di quanti partecipano alle missioni umanitarie. Perché so che non è facile lasciar partire per l’Ucraina e so il pensiero e la preoccupazione che vi accompagnano».
Un grazie a cui tutti a Maccio e non solo hanno voluto rispondere con un rinnovato impegno. «A noi – è la conclusione di Giambattista Mosa e di don Zuffellato – l’impegno di tenere alta l’attenzione contro la tentazione dell’indifferenza». E il passo dalle parole ai fatti è presto fatto: una nuova missione è già in programma nel mese di agosto.
(Pubblicato su “il Settimanale della Diocesi di Como” – Michele Luppi)
La testimonianza dell’operatrice Caritas, Ilaria De Battisti: «Io, commossa per le parole di padre Ihor»
All’incontro di venerdì 7 luglio all’oratorio di Maccio era presente anche Ilaria De Battisti, operatrice della Caritas diocesana di Como e referente per l’accoglienza dei profughi ucraini sul territorio comasco. Ecco la sua testimonianza al termine della serata.
«Ho molto apprezzato l’incontro che si è tenuto a Maccio in occasione della visita di padre Ihor Boyko direttore del seminario greco cattolico di Leopoli. Tra i volontari di Frontiere di Pace e la parrocchia di Maccio c’è un legame molto forte con padre Ihor. È stato un momento di comunione molto intenso e una opportunità significativa di conoscere in modo approfondito l’attuale situazione ucraina e di fare fratellanza e comunione.
Padre Ihor ha restituito la realtà nell’unico modo realistico e limpido. Senza retorica, senza cercare un risultato opportunistico, senza lasciare spazio a interpretazioni. Le sue parole sono quelle della sua gente, dell’oppresso ingiustamente, di chi difende la propria identità, la libertà.
Padre Ihor ha narrato la situazione dei suoi fratelli ucraini, ha risposto alle domande che gli sono state poste con umile verità. Non ha lasciato spazio alla polemica, alla teoria.
Ho ammirato la sua linearità e anche quando ha detto cose forti, o che lasciano attoniti, le ha pronunciate perché ha in cuor suo la realtà di ciò che sta accadendo. La stessa realtà restituita di volta in volta dai volontari di Frontiere di Pace quando tornano e testimoniano ciò che hanno visto, sentito e vissuto con profondo senso di realtà e concretezza. Io e la mia famiglia siamo tornati a casa commossi,con il cuore gonfio di emozione.
Padre Ihor è testimone forte e solido che Dio è ovunque e sempre: nel narrare di lui bambino costretto a scuola a negare Dio davanti ai russi e, una volta tornato a casa, a recitare il Rosario con la mamma e il papà; nel raccontare dei soldati russi che controllavano le chiese, per proteggere l’ateismo russo e poi, di nascosto, pregavano.
Ho portato a padre Ihor i saluti e la vicinanza di tutta la Caritas diocesana di Como. Ha ringraziato di cuore per il sostegno, che ha reso possibile questo ponte di umanità. Era sincero e commosso».
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