Pubblicato il: 21/02/2015Categorie: Editoriali, News

21 febbraio 2015 – Sabato 14 febbraio scorso si è tenuta a Nuova Olonio la XII Assemblea diocesana della Caritas dal titolo “Parrocchia in Carità”. Al termine di una giornata particolarmente ricca e partecipata, il direttore, Roberto Bernasconi, ha concluso i lavori con questo intervento che pubblichiamo integralmente.

Tocca a me tirare le fila di questa intensa giornata, che ci ha portato a riflettere sull’importanza che in ogni comunità parrocchiale la dimensione della carità abbia una attenzione primaria e la Caritas, per volontà della Chiesa, è lo strumento ordinario di ogni parrocchia per rendere presente e operante questa virtù. Caritas deve essere sempre più il luogo non solo deputato alla operatività, ma quel gruppo di persone che si mette a disposizione della comunità e che, partendo dalla esperienza maturata sul campo, diventi il laboratorio che permetta alla carità vissuta di trasformarsi in preghiera e in contemplazione.

Solo percorrendo questa strada sarà possibile per le nostre parrocchie riscoprire e rendere visibile e concreta la dimensione di Cristo sofferente a livello comunitario.

Partendo da questa convinzione abbiamo voluto che questa giornata non fosse vissuta solo come momento isolato, celebrativo o interno a noi per contarci o per rivendicare degli spazi all’interno della nostra comunità diocesana: credo che questo non è il nostro intento e che non ci interessi. Lo scopo primario del nostro incontrarci è stato di riflettere e di donare la nostra esperienza di vita di carità alle comunità, perché non resti esperienza nostra, ma diventi patrimonio comune per far sì che accanto agli altri percorsi di rinnovamento che la nostra diocesi ha intrapreso ci sia anche il nostro. Credo che abbiamo il dovere di impegnarci in questo e credo anche che il cammino di rinnovamento che c’è all’interno della nostra Chiesa diocesana è incompleto se noi facciamo mancare la nostra esperienza di carità e di vicinanza ai fratelli sofferenti.

Sono questi cammini intrapresi in modo unitario – pur nella loro specificità – che permetteranno alla nostra Chiesa, che in questi anni sta sperimentando strade e modalità nuove per avvicinarsi alla gente, di ridare slancio all’opera evangelizzatrice in questo momento storico di grande fatica, di cambiamenti, ma anche di grandi opportunità.

Posso affermare che l’elemento più significativo che noi possiamo portare attraverso le nostre esperienze è la visione della centralità della persona umana. Vivendo questa centralità ci viene data la possibilità di avvicinare tante persone per lo più in difficoltà e il nostro approccio fa sì che queste persone non si sentano mai annullate nella loro personalità, ma attraverso di noi si sentano pronte a riprendere in mano la propria vita per ridiventare protagonisti di sé e per gli altri. Noi ci riserviamo solo la parte di strumenti che accompagnano, che sostengono, che mettono in condizione di riscoprire la bellezza e l’importanza di vivere pienamente la propria esperienza di vita anche a livello comunitario.

Credo che da ciò che abbiamo ascoltato oggi e dalle riflessioni emerse nei gruppi di studio esca una visione di Caritas che è molto attenta alle persone che vivono povertà materiali, fisiche e morali, povertà inserite in ciò che possiamo definire “situazioni storiche” e legate alla grave emarginazione, ma anche quelle povertà che definiamo “nuove povertà”, che sono oramai tante e sono legate alla crisi interna al nostro Paese ma soprattutto alle crisi internazionali che fanno arrivare sul nostro territorio tante persone.

Tutte queste povertà vecchie e nuove sono il frutto in parte di cadute e di fallimenti personali, ma soprattutto sono dovute alle storture della nostra società. Così la conoscenza, l’attenzione e la condivisione dell’esperienza di vita delle persone che vivono queste grandi fatiche diventa un po’ il patrimonio genetico di Caritas; questo patrimonio, questa umanità sofferente sono il tesoro della Caritas che non è di sua proprietà ma deve essere portato in dote alla nostra Chiesa diocesana, affinché possa diventare tesoro comune. È importante e vitale per le nostre parrocchie questa dote di povertà vissute, ma è soprattutto importante la testimonianza e l’impegno quotidiano da parte dei gruppi Caritas nella nostra Chiesa diocesana.

Dobbiamo essere sì capaci di ascoltare il grido dei poveri, ma anche di consegnare a tutta la nostra Chiesa le povertà di cui siamo testimoni, altrimenti la Chiesa stessa corre il rischio di rimanere un po’ fuori da queste dinamiche del mondo, di stare alla finestra a guardare, o peggio a giudicare, perché non conoscendo e non toccando con mano questo variegato mondo della emarginazione e delle povertà vecchie e nuove si trova non preparata, si lascia vincere dalla paura di essere fagocitata da queste persone che sono accolte sul nostro territorio e che ci avvicinano cercando aiuto; si lascia condizionare dalla paura che se affronta queste povertà e si attiva per accogliere queste persone rischia una deriva sociologica di parte. E allora nasce la paura di essere Chiesa politicamente schierata, quindi si temporeggia, ci si rifugia nell’illusione che basta distribuire beni materiali per risolvere i problemi delle persone, nascondendosi dietro l’idea che risolvendo i problemi materiali di chi ci avvicina sia sufficiente e ci fa mettere la coscienza a posto, anche se poi non affrontiamo mai seriamente le cause del perché esiste questa crescita di bisogni e di povertà.

Caritas è convinta che se si percorre solo la strada dell’elemosina, anche la comunità cristiana si impoverisce, perde il proprio della missione di una comunità cristiana che è il testimoniare nel mondo senza riserve, donandosi fino in fondo, Cristo morto e risorto.

La chiarezza di questa analisi è data non da mie convinzioni personali, ma è frutto della riflessione che Caritas fa attraverso la sua operatività; può apparire un ragionamento crudo o pessimista, ma credo che non sia così. È semplicemente la realtà, il sentire comune di tanta nostra gente e di tante nostre comunità che sono disposte a donare il superfluo, ma sono meno disposte a giocare tutte le proprie esperienze di vita e di comunità in favore di chi è povero, di chi è emarginato.

È questa la povertà più grande a cui siamo chiamati a rispondere, la povertà di umanità delle nostre strutture, dei nostri gruppi, delle nostre comunità parrocchiali che il più delle volte sono autoreferenziali, sono sorde alle richieste di aiuto e di condivisione che sempre più ricevono.

Questo non vuole assolutamente essere un atto di accusa alla nostra Chiesa, di cui sentiamo di far parte totalmente, ma proprio perché la amiamo ci sentiamo in dovere di guardare in faccia alla realtà e di affrontarla con l’unico modo possibile per noi cristiani: noi dobbiamo saper affrontare la realtà con una dimensione di speranza, cercando di stare nei conflitti, per ricondurli a una unità più alta.

Credo che per vivere la speranza biblica dobbiamo seguire la direzione che ci conduce verso le strade percorse dagli uomini del nostro tempo e che ci fa trovare e riconoscere le diverse situazioni di vita, le diverse esperienze di popoli, che ci fa diventare concreti nella nostra azione abbandonando ciò che di solito ci viene naturale, cioè sognare senza però dare seguito concreto a questi sogni.

L’orizzonte di possibilità che ci si profila – se abbiamo il coraggio di vivere la radicalità cristiana – ci porta a superare l’idea romantica che la fraternità, che la condivisione, che l’accettazione degli ultimi di chi è diverso sono dei sogni che dovrebbero essere realizzati, ma diventano attraverso il nostro impegno concreto un progetto comune da costruire. Per questo noi oggi ci impegniamo di fronte a tutte le nostre comunità a essere parte attiva di questo cammino di rinnovamento della nostra Chiesa diocesana.

Le Caritas parrocchiali condividono questo cammino di rinnovamento nella continuità, facendo propri gli obiettivi di formazione e di radicamento nelle realtà del territorio.

Si impegnano a vivere un cammino comunitario di rinnovamento vissuto nel quotidiano.

Si impegnano a camminare e a costruire non in modo separato ma insieme alla comunità.

Si impegnano a vivere a fondo il compito a cui sono stati in qualche modo chiamati dalle comunità, non come delega ma come un laboratorio di corresponsabilità laicale.

Si impegnano a essere strumento della comunità diocesana, perché nel dibattito sociale del nostro Paese la voce della Chiesa sia sempre presente in modo attivo e propositivo.

Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como

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