29 aprile 2018 – La chiusura, a fine aprile, del servizio organizzato con le tre grandi tende riscaldate per offrire riparo ai migranti nei mesi freddi è stata decisa dopo una proroga di circa un mese, per dare la possibilità a circa 80 persone che usufruivano del servizio di trovare modalità alternative di ospitalità sul territorio.
Buona parte di queste persone si sono spostate fuori città (in prevalenza Milano); altre sono state ospitate nel Comasco e dintorni da amici o parenti della loro nazionalità; altri ancora hanno accettato il cammino di rimpatrio assistito (sono tutti africani): sono uomini che erano giunti in Italia per motivi economici, e per loro si costruisce un progetto di vita nel Paese di origine che contempla, tra le altre cose, la ricerca di un lavoro.
Poi ne resta una trentina che decide di vivere in strada, la maggior parte a Como.
Questo dato ci porta a fare una riflessione, non tanto sulle nostre capacità di accoglienza (che sono collaudate, ma spesso determinate da limiti di spazio e di tempo) quanto sulle loro incapacità di costruirsi un progetto di vita, di reagire a una condizione di apatia e di accettazione del quotidiano senza pensare al “dopo”, al futuro. Insomma, queste persone rischiano di essere aiutate male e strumentalizzate da chi porta avanti battaglie ideologiche (per esempio contro le istituzioni), senza pensare che occorre innanzitutto un’accoglienza e un accompagnamento responsabili. Basati su doti umane, preparazione, formazione.
Formazione, appunto.
Questo Caritas lo sa bene e offre ai suoi volontari – persone che quotidianamente vivono a contatto con senza dimora, migranti, famiglie povere e così via – un serio percorso di formazione e di preparazione umana prima di “agire sul campo”. Soltanto così prevale sopra ogni cosa il rispetto per le persone, che devono essere al centro di ogni nostro agire. Soltanto così possono essere compresi la loro cultura, il loro credo, le loro usanze e, in questo modo, costruire insieme una convivenza fatta di reciproco dialogo e mai di imposizioni unilaterali.
Mi permetto di concludere questa mia riflessione citando Papa Francesco. Il quale, nell’Esortazione Apostolica sulla chiamata alla Santità nel mondo contemporaneo “Gaudete et Exsultate”, al numero 26, ribadisce: “Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione”.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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