22 giugno 2013 – È disarmante pensare a come una parte dei cittadini di Como ha la capacità di affrontare concretamente la realtà della quotidianità.
In questi giorni, dopo la denuncia dei commercianti che si sentono toccati in prima persona dal fenomeno dell’accattonaggio, è partito un dibattito e una pubblicizzazione di questo fenomeno sui media locali e sembra che l’unica strada che si ritiene di percorrere sia quella di indignarsi e di prendere le distanze da tutte le persone che vivono in strada e che, secondo il pensare comune, ledono il nostro diritto di cittadini alla tranquillità, e alla visione della nostra città che vorremmo ricca, dedita al consumo e immune da problematiche sociali.
Questo atteggiamento che oggi è espresso dalla categoria dei commerciati, ma che è patrimonio nella nostra città di tanti singoli e associati, ci impedisce di guardarci attorno con lo sguardo limpido, con la mente aperta non solo ai nostri interessi privati, ma di persone che davvero vogliono costruire una comunità, e che per fare questo sono disposte a mettere a servizio quello che di meglio possiedono: tempo, professionalità, idee, mezzi economici…
Quello che più mi rattrista è la superficialità con cui oramai siamo abituati ad affrontare i problemi; ragioniamo per stereotipi, non siamo più capaci di andare a fondo per analizzare una situazione e se una persona vive in strada sicuramente per noi è legata ad affari poco chiari e, quindi, va allontanata o denunciata.
Le stesse persone che vorremmo allontanate perché deturpano il decoro urbano in alcuni casi ci fanno comodo; ci dimentichiamo, per esempio, che è da questo bacino di umanità che tante attività commerciali, tante famiglie pescano offrendo spesso lavoro in nero. Non è forse anche questo racket con l’aggravante che tendiamo a legalizzarlo?
Penso che la verità e la conoscenza siano le strade da percorrere per recuperare nella nostra città una convivenza civile, che permetta accanto alla denuncia e alla indignazione la costruzione di cammini di recupero e di accoglienza di chi è meno fortunato di noi e che, però, ha il diritto di chiedere la possibilità di una vita piena.
Per questo mi permetto di proporre un incontro in cui tutte le forze vive della città – politiche, sociali, economiche – possano confrontarsi e mettere a disposizione le proprie competenze per aiutare le povertà che attanagliano la nostra città.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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