30 marzo 2012 – La Caritas diocesana è impegnata in un’azione capillare – grazie alla dedizione dei suoi operatori e dei suoi numerosi volontari – che la vede in prima linea su più fronti “caldi” del territorio, dalla grave emarginazione all’accoglienza degli immigrati, per non parlare della crisi economica che coinvolge sempre più anche le persone e le famiglie delle nostre comunità. Le sfide che la Caritas ha di fronte sono impegnative e, in un mondo in continua trasformazione, carico di fatiche e di incertezze, è necessaria più collegialità negli interventi per una risposta di più ampio respiro ai problemi, sia per quanto riguarda la conoscenza, sia per organizzare gli interventi concreti.
A questo proposito il lavoro delle Caritas parrocchiali è – a mio avviso – di decisiva importanza. È un lavoro che va sostenuto, incoraggiato e “moltiplicato” sul territorio. Oggi nella nostra grande Diocesi sono attive una sessantina di Caritas parrocchiali su circa 320 parrocchie. È un dato che di per sé fa riflettere. Significa che soltanto una realtà su cinque in questi anni ha saputo organizzarsi ed essere punto di riferimento per cogliere le tante criticità presenti nella comunità di riferimento. È anch’esso un “segno dei tempi”, è indicatore chiaro dello scollamento tra fede e vita vissuta e della difficoltà di cogliere l’importanza che il rapporto con il trascendente deve essere vissuto concretamente nella nostra quotidianità.
Detto questo voglio sottolineare il lavoro che le Caritas parrocchiali esistenti stanno svolgendo con grande impegno già da parecchi anni. I punti di forza che caratterizzano queste realtà sono la grande disponibilità – fondata sul volontariato di tante persone di buona volontà – capacità organizzativa e di mettersi in gioco per capire, dare visibilità e possibilmente una soluzione ai casi di povertà – a volte gravi e il più delle volte “nascosti” – presenti nella comunità. Inoltre, colgo con piacere che nel tempo si sia affinata una proficua collaborazione con le istituzioni, le associazioni e i gruppi già operanti nelle zone, grazie anche a un coordinamento delle azioni che spesso non soltanto è utile, ma direi indispensabile.
Mi permetto, altresì, di tratteggiare anche i punti di debolezza di questa esperienza. Se riflettiamo sul dato sopra evidenziato, ci accorgiamo che esiste il problema di una maggiore diffusione capillare delle Caritas parrocchiali in Diocesi. Ciò significa saper individuare delle sensibilità e delle disponibilità che troppo spesso restano inespresse. O meglio, spesso la carità viene esercitata a livello privato (perché tante sono le persone disposte ad impegnarsi e lo fanno con grande generosità nel silenzio e anche sorretti da una forte motivazione di fede), mentre invece è auspicabile che coinvolga più persone, si strutturi e si organizzi attraverso un indispensabile percorso di formazione.
Nelle parrocchie, dove la Caritas parrocchiale non esiste, è importante far nascere una sensibilità fatta di attenzione e di dialogo. Sembra banale, ma cominciare a parlarne tra parrocchiani è già un passo importante. Dal confronto, dalla conoscenza e dal coinvolgimento reciproco di tante persone può nascere tutto. E il parroco, a questo proposito, può svolgere un ruolo determinante soprattutto sul fronte della sensibilizzazione.
Concludo con un auspicio che è anche una certezza. E mi rivolgo in particolare al mondo giovanile. Ho la convinzione che i nostri giovani siano bravi, volenterosi, disponibili e abbiano tante cose da dirci. Spesso hanno voglia di dedicarsi al loro prossimo in difficoltà, ma sono disorientati e la loro azione a volte è personale, discontinua, non sorretta – come dire – da una scelta di fede e di vita. Per questo insisto affinché gli adulti, che hanno già esperienza in ambito caritativo, si assumano l’impegno di accompagnarli in un percorso attraverso l’esempio e la formazione.
Insomma, rendiamo protagonisti i nostri ragazzi. Come? Le azioni di solidarietà possono essere tante e tutte proficue. A Como, per esempio, la Caritas organizza periodicamente un’uscita serale con alcuni giovani che, insieme ad alcuni operatori, incontrano le persone senza fissa dimora. È un momento di accoglienza, un segno di amicizia e una bella esperienza “sul campo”. Perché non tentare di ripetere questa iniziativa anche in altre zone del territorio diocesano?
Roberto Bernasconi, direttore Caritas diocesana di Como
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