20 marzo 2018 – La tredicesima Assemblea Caritas diocesana di Como, che ha avuto per titolo “Testimoni e annunciatori della misericordia di Dio: vedrai che bello!”, quest’anno è stata organizzata a Morbegno il 17 marzo scorso.
È stato un momento di particolare importanza, l’occasione per fare il punto sul cammino fatto finora dalla Caritas in Diocesi e definire, in prospettiva, come orientare pensiero e azione per una rinnovata animazione della carità sull’intero territorio diocesano.
Questo appuntamento, inoltre, ha assunto una particolare rilevanza anche perché si è svolto dopo esattamente tre anni dall’ultima Assemblea Caritas – che si è tenuta a Nuova Olonio il 14 febbraio 2015 – e per l’importante presenza del vescovo Oscar, al suo primo appuntamento assembleare da quando è Pastore della Chiesa comense.
Sotto pubblichiamo integralmente l’intervento del direttore della Caritas diocesana, Roberto Bernasconi, che ha aperto i lavori della giornata.
«Arriviamo a questa Assemblea in un momento particolare della nostra società, ma anche della nostra Chiesa, che stanno vivendo con affanno i cambiamenti in atto, cambiamenti dovuti sia a fattori interni del nostro Paese, crisi sociale e politica, crisi economica, sia a fattori esterni (vedi per esempio tutto il fenomeno migratorio).
Di fronte a questi mutamenti, che ci spaventano soprattutto perché hanno bisogno di essere capiti, riusciamo in questo momento a compiere un’analisi solo parziale e non unitaria. Questo succede soprattutto per l’incapacità che abbiamo di confrontarci in modo ampio su queste tematiche e questo modo di procedere penalizza anche la nostra Comunità diocesana, che fatica ad avere una visione globale di questi fenomeni sul suo territorio, visione che è possibile solo se si ha il coraggio di lavorare assieme, innanzitutto per capire e accettare le sfide che la società attuale ci propone, con la convinzione che anche noi abbiamo il dovere di contribuire a vivere bene questo cambiamento.
Questa fatica ad affrontare cambiamenti sta evidenziando la divisione della nostra Comunità diocesana in due linee di pensiero e quindi di azione: una privilegia la dimensione spirituale come punto centrale della vita della comunità – ricerchiamo la verità privilegiando un cammino formativo sulla Parola e un cammino liturgico – l’altra indica come priorità per vivere un cammino di Chiesa la preminenza della dimensione sociale.
Di fronte a questo quadro, Caritas in questi anni sta maturando la scelta di testimoniare e di vivere il servizio della carità cercando di fare sintesi tra queste due visioni; innanzitutto riconoscendo e affrontando questi cambiamenti e cercando poi di vivere la sua testimonianza sia nel contesto ecclesiale sia in quello civile.
Vi assicuro che questo percorso – e credo che lo sappiate – è difficile, ma stimolante nello stesso tempo e ci sta aiutando a riconoscerci sempre più come strumento pastorale a disposizione della Chiesa diocesana.
Caritas sente la necessità di condividere il suo cammino e la sua esperienza di vicinanza alle persone in difficoltà con tutta la Comunità ecclesiale per dare un contributo attivo, affinché si possa costruire questa sintesi tra Chiesa orante, Chiesa che celebra e Chiesa che testimonia nel mondo attraverso la vicinanza a chi ha bisogno, anche attraverso un servizio concreto che possa aiutare a far riscoprire alle nostre comunità che l’amore di Dio non è riservato a pochi eletti, ma è per tutta l’umanità.
In questi anni difficili, in cui accanto alle povertà tradizionali si sono aggiunte le nuove povertà legate alla crisi economica e alle tante persone che da diverse parti del mondo stanno arrivando da noi in cerca di possibilità di vita, abbiamo privilegiato l’ascolto e la vicinanza con tutte queste persone. Questo ci ha permesso di acquisire accanto alla possibilità di vivere in prima persona i drammi di tanti, di troppi, una grossa ricchezza di esperienze di vita.
Quasi sempre questi volti che incrociamo, queste vite che incontriamo sono difficili e drammatiche, ma sicuramente sono importanti per noi, perché riportano al centro del nostro agire, del nostro programmare l’umanità contemporanea vera, libera da maschere o da paludamenti.
Questo ascolto e vicinanza diretta e sincera ci permette di consegnare queste vite così come sono alle nostre comunità parrocchiali, perché possano diventare patrimonio comune e occasione per le nostre parrocchie di sperimentarsi nella dimensione di servizio.
Ed è missione delle nostre parrocchie far proprio il tesoro che questa umanità sofferente ci consegna, è il carburante che permetterà di intraprendere un cammino di fede che avrà al centro gli ultimi come primi destinatari del messaggio di salvezza che Cristo, venuto in mezzo a noi Povero ed emarginato, ci consegna.
Proprio per questo noi vogliamo invitarvi a vivere quest’Assemblea soprattutto come tappa di un percorso che Caritas ha cercato di proporre e di vivere in questi anni con la volontà di essere testimone e attuatore del cammino della Chiesa post-conciliare, cammino che ci ha aiutato a sperimentare la bellezza di essere Chiesa ministeriale e corresponsabile, Chiesa che si sente proiettata nel cammino della storia degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Se mi permettete ricordo almeno l’ultima parte di questo cammino che in questi anni di lavoro e di vicinanza alle persone abbiamo cercato di vivere e di come questo percorso ci ha aiutato a riscoprire il ruolo che compete a Caritas diocesana all’interno della Chiesa, ma anche della nostra società.
Mi sembra utile allora ricordare i temi su cui abbiamo lavorato nelle due ultime assemblee: nell’undicesima Assemblea abbiamo riflettuto sul rapporto Caritas con altri Uffici di pastorale, Uffici che seguono le diverse stagioni della vita dell’uomo.
Il tema era “La Caritas serve… se serve” e abbiamo capito come, pur nello specifico di ogni Ufficio, nell’operare di ciascuno serva essere fedeli ad un progetto comune di Chiesa, ma sia altrettanto importante essere fedeli ad un progetto di uomo globale. Ci è stato utile in questo percorso riscoprire e cercare di rendere concreto il richiamo sulle cinque piste di riflessione dei vari ambiti di vita, che ci ha consegnato il Convegno ecclesiale di Verona: Affettività, Lavoro e Festa, Fragilità, Tradizione.
Nella dodicesima abbiamo fatto una riflessione sulla “parrocchia in carità”, parrocchia che non può esimersi dal vivere accanto alla dimensione liturgica e quella della catechesi, la dimensione così importante che per un cristiano è rendere concreta e visibile la virtù teologale della carità.
Carità non proclamata, ma vissuta, che non può essere delegata a nessuno, sia persone che gruppi specializzati, ma deve diventare per una comunità atteggiamento di vita, deve essere strumento attraverso il quale rendiamo concreto e visibile il progetto di Dio sugli uomini.
Oggi siamo qui per dare concretezza alla continuità di questo cammino e questa concretezza ci vede impegnati a sviluppare due temi importanti, quello della centralità dell’uomo, che deve essere sempre al centro delle nostre azioni, e quello della centralità della comunità, che deve diventare sempre più protagonista di un cammino di dono aperto verso tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, senza distinzione di ceto, di razza, di professione religiosa.
Parto anche qui, usando il metodo Caritas, da una analisi storica. I cambiamenti che in modo repentino ed inaspettato hanno sconvolto il nostro territorio in questi ultimi anni ci hanno fatto segnare il passo e ci hanno costretto a riflettere innanzitutto sulle nostre comunità e sul loro stato di salute.
Ci presentano due facce della medaglia, la prima è quella che vede tutte le parrocchie, pur in modalità diverse, protagoniste di azioni di carità ad ampio raggio. Ormai di fronte a bisogni primari – cibo, vestiti… – ci si rivolge in parrocchia e la maggioranza delle parrocchie si sono attrezzate per questo servizio.
La seconda è che pur reagendo in modo positivo a queste sollecitazioni nel suo complesso abbiamo una Comunità diocesana in affanno, una Comunità che rischia di diventare come un supermercato, pronta ad elargire dei servizi di alta qualità, ma nello stesso tempo una Comunità che sta perdendo la sua caratteristica principale, quella di trasmettere attraverso le azioni di carità il messaggio salvifico di Cristo.
Perdendo la caratteristica dell’annuncio non riusciamo più ad essere una Comunità in sintonia con la gente perché rischiamo di non comunicare più niente, ma solo di distribuire, e di conseguenza ci diventa difficile renderci conto e scoprire le povertà più profonde che sono presenti sul nostro territorio diocesano. Conosciamo e affrontiamo solo le più evidenti. Credo sia venuto il momento non tanto di contarci e di dire quante parrocchie si sono dotate di Caritas parrocchiali, ma di focalizzare il nostro agire, il nostro approfondire, sullo stile e sulla missione della Caritas: accogliere, conoscere e condividere, agire.
Uno dei limiti e delle povertà che noi Comunità cristiana viviamo in questo tempo, ma che sono frutto di una visione di Chiesa che è difficile da sradicare dal nostro territorio, è quello della frammentarietà, vorrei ricordare che già il vescovo Ferraroni aveva paragonato il territorio della nostra Diocesi ad un arcipelago!
Caritas vorrebbe ripartire dall’Assemblea che oggi stiamo celebrando per dare un contributo attivo, che permetta alla nostra Chiesa di superare questo modo di pensare e di agire.
Abbiamo bisogno, pur nelle diversità territoriali, di ritrovare un percorso che ci porti alla unità di intenti, per questo i nostri sforzi in questo momento non sono indirizzati ad ampliare servizi o gruppi di Caritas parrocchiali, non servirebbe a niente, amplificheremmo solo dei servizi di distribuzione che sono già sufficienti.
Vorremmo invece aiutare a far riscoprire alle nostre Comunità lo stile caritativo che dovrebbe caratterizzare ogni comunità parrocchiale, pur inserita in un contesto ambientale diverso l’uno dall’altro.
Siamo convinti che questo aiuto che diamo alle parrocchie perché riscoprano al loro interno anche questa potenzialità caritativa sia un ruolo fondamentale della Caritas diocesana, che non è uno strumento operativo che sovrintende o si sostituisce alle comunità, ma semplicemente è uno strumento diocesano al loro servizio e come strumento va usato. L’esperienza di diocesanità che Caritas esprime può servire ad esempio a riscoprire una unità di intenti pur nella diversità delle situazioni locali.
Lo stile che proponiamo è quello della misericordia, la misericordia che Dio usa nei nostri confronti e che noi dobbiamo essere capaci di vivere e testimoniare.
Misericordia che va vissuta con uno spirito di gioia, quella vera che ti è data dalla consapevolezza che tu stai operando non per te stesso, ma a favore di fratelli e sorelle che a te si affidano, certi che il tuo aiuto è disinteressato perché tu sei solo strumento di un progetto di vita che ti è stato affidato; il tuo compito principale è quello che attraverso di te venga trasmesso al mondo.
Ritengo che in questo percorso di vita le dimensioni della gioia della fratellanza siano fondamentali, senza di queste non sarebbe proponibile.
Proprio per questo serve una seria verifica nei nostri gruppi caritativi rispetto a che stile e che presenza questi vivono in comunità o all’interno dei luoghi dove operano: nelle azioni di carità sono donatori di gioia, sono donatori di speranza oppure portatori di problemi e di divisioni?
Credo che quando ci si dimentica di essere strumento, anche se operiamo con efficienza massima – e io sono sicuro che questa efficienza è patrimonio comune, tanto che spesso facciamo concorrenza ai servizi sociali o ai patronati – perdiamo di efficacia, ma soprattutto diventiamo motivo di divisione e non di unità, perdiamo la caratteristica dell’essere misericordiosi.
Mi permetto allora un suggerimento per rendere concreta e visibile questa misericordia: dobbiamo innanzitutto diventarne annunciatori non a parole, ma con le opere. Quanto siamo misericordiosi tra di noi, tanto la misericordia che ci caratterizza non è una nostra qualità, ma è la misericordia di Dio, che attraverso di noi si rende visibile.
Questa misericordia di cui siamo testimoni e annunciatori richiede da noi capacità di ascolto e capacità di accompagnamento, che dobbiamo spendere come tesoro prezioso che abbiamo ricevuto e che va ritornato.
Se così fossero i nostri gruppi caritativi, pensate che strumento formidabile di testimonianza sarebbero nei cammini formativi, soprattutto degli adulti.
Che forza rinnovata potremmo trarne se nelle nostre liturgie e nei momenti di preghiera affidassimo alla misericordia di Dio questa parte importante della nostra vita perché diventi veramente offerta a Lui.
Un obiettivo ultimo che mi sento di ricordare è la presa di coscienza che dovremmo avere del cammino di rinnovamento che la nostra Chiesa diocesana sta intraprendendo attraverso la celebrazione del Sinodo. Crediamoci fino in fondo, non deleghiamo un’altra volta alle persone che sono impegnate nella preparazione di questo evento il compito di organizzarlo, ma il nostro agire nella quotidianità facciamo in modo che possa diventare strumento del Sinodo diocesano, perché veramente sia strumento di riforma e di rinascita della nostra Chiesa diocesana».
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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