25 febbraio 2014 – Noi della Caritas diocesana, nella nostra esperienza sul fronte delle gravi difficoltà relative all’emarginazione e al disagio, vediamo emergere quotidianamente povertà materiali e morali a cui cerchiamo – nelle nostre possibilità – di dare risposte adeguate e il più possibile tempestive.
Stiamo parlando, ovviamente, di situazioni “esterne” da noi, che tuttavia facciamo “nostre” in un’ottica di ascolto, condivisione e di aiuto caritatevole. E che affrontiamo, appunto, con tempestività e determinazione.
Perché dico questo? Perché sottolineo un concetto, del resto, abbastanza scontato e oggettivamente acquisito?
La risposta è semplice. Perché la stessa tempestività e la stessa determinazione vorrei fossero il “motore” per superare anche le povertà di relazione che nascono e si radicano nell’ambito ecclesiale all’interno della nostra Chiesa comense.
Sono profondamente convinto, infatti, che se non risolviamo in modo fraterno e costruttivo questa nostra povertà non saremo capaci di affrontare e vivere le altre povertà – spesso complesse e devastanti – che la società e il mondo ci presentano ogni giorno.
Ecco perché auspico con tutto il cuore che occorra affrontare e risolvere al più presto le contrapposizioni, le divisioni e persino latenti forme di anarchia che sono presenti nella nostra Chiesa. Divisioni laceranti e distruttive che logorano i rapporti nei vari ambiti, sia ecclesiali sia laicali. E che francamente sono incomprensibili e deleteri anche agli occhi dell’intera comunità, oggi frastornata e sempre più disorientata.
È impossibile? Non credo. Basta volerlo.
Ripartiamo dall’idea che siamo tutti fratelli e figli dello stesso Padre.
È bello pensare a questa unità – rinata e rinvigorita dalla Parola – segno di fraterna coesione che rende la stessa Chiesa e la comunità cristiana una vera famiglia.
E come una famiglia, vivere l’esperienza quotidiana nel rispetto e nella valorizzazione dei diversi ruoli al suo interno.
Mi viene spontaneo, a questo punto, lanciare un personale, umile appello: superiamo al più presto i protagonismi, le contrapposizioni, le presunzioni. Ognuno di noi sappia che non è il possessore della “verità assoluta”. Riacquistiamo la bellezza – che è data dalla saggezza del cuore – di sapersi aprire agli altri, di sapere ascoltare e comprendere.
Quando siamo di fronte a una persona che è nella difficoltà e nell’errore, occorre avere sempre un approccio non punitivo o rivendicativo, ma soltanto dettato dalla “correzione fraterna”.
Una grazia e una virtù squisitamente cristiane. In nome di un’unità e di una credibilità che nella nostra Chiesa non devono mai venire a mancare.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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