
Dal desiderio di dare risposte sempre più accurate al bisogno delle persone senza dimora – nella città di Como sono circa 200 – di avere un riparo notturno nel periodo invernale è nato il “Progetto Betlemme”.
L’idea, lanciata dalla Caritas diocesana di Como e, in particolare, dal servizio Porta Aperta sin dal 2020, era ed è di ampliare l’offerta dei dormitori e delle strutture già esistenti – oggi sono circa 130 posti letto fissi, tra residenziali e notturni – proponendo alle comunità parrocchiali del territorio di accogliere una o più persone, grazie anche al prezioso coinvolgimento di numerosi volontari, giovani e meno giovani, che danno la loro disponibilità per tutto il periodo invernale in orari prestabiliti.
Fino a oggi (dato inverno 2021-2022) sono state coinvolte: la Parrocchia di Tavernola, la Comunità pastorale SS Giacomo e Filippo (Ponte Chiasso, Monte Olimpino, Sagnino), la Comunità pastorale Santi della Carità (Sant’Orsola, Garzola e Sant’Agata), la Comunità pastorale Albate, Muggiò, la Comunità pastorale Beata Vergine del Bisbino (Cernobbio, Piazza Santo Stefano, Maslianico),la Comunità pastorale Tavernerio, Solzago, Ponzate e la Comunità pastorale San Giuliano, Sant’Agostino. Complessivamente sono state ospitate 16 persone senza dimora.
Da Albate, riportiamo la testimonianza della volontaria Aldina, della Comunità pastorale di Albate-Muggiò “Casa Betlemme”
Aldina, volontaria: «Che grande lezione riceviamo dai poveri!»
Dicembre 2021 – Già prima che scoppiasse la pandemia, la Comunità pastorale di Albate-Muggiò, sotto la guida del parroco, don Luigi Savoldelli, aveva fatto un cammino di catechesi, incentrato sull’attualizzazione del capitolo 25 del Vangelo di Matteo, “ero nudo e mi avete vestito, ero forestiero e mi avete ospitato…”. Poi, nella tregua tra un’ondata e l’altra degli assalti del virus, è arrivata la proposta di aderire al Progetto Betlemme, avviato dalla Caritas cittadina. Sono stati identificati alcuni locali del Centro Parrocchiale, ad Albate, idonei per diventare una piccola casa accogliente.
L’abbiamo chiamata “Casa Betlemme” e dedicata alla memoria di don Roberto Malgesini. In poco tempo è stata arredata e completata con l’aiuto di tutti: Caritas, San Vincenzo, i parrocchiani che hanno voluto portare un oggetto o un utensile necessari, o semplicemente dare la propria abilità per sistemare, pulire, riorganizzare, rendere più “casa” questi spazi non più utilizzati. Il gruppo di volontari è cresciuto progressivamente fino a raggiungere una quarantina tra uomini, donne, ragazzi e ragazze, tutti accomunati dal desiderio di poter vivere accanto ai prediletti dal Signore qualche momento della giornata, cercando in umiltà un cammino di fratellanza e di condivisione evangelica. A fine novembre abbiamo, quindi, incontrato Franco, Patrizio, Mohamed e Malang, i nostri ospiti per l’inverno. Il tempo in preparazione al Natale: entusiasmo, frenesia, curiosità, un forte desiderio di “essere utili” ci ha contagiato, pur nelle limitazioni anche pesanti, imposte dall’emergenza sanitaria.
L’incontro con questi fratelli non è stato pieno di poesia né di esaltanti, romantici slanci di mistica ispirazione; direi piuttosto una caduta violenta sul selciato freddo e duro della quotidiana prosaicità di letti semirifatti, di odori di umanità che si mescolano al mattino con il calore dei radiatori appena accesi, di ciabatte scomposte sotto il letto, di pochi indumenti stesi ad asciugare, di un bollitore che scalda acqua per il tè.
Ci si aspettava di vedere “il barbone coi suoi stracci dentro un sacchetto”, come ha ricordato uno dei nostri volontari; e invece ecco, davanti a noi, persone come noi, sì proprio come noi: una rivoluzione sconvolgente, perché la loro povertà ha davvero messo a nudo la nostra povertà, le nostre fragilità, le nostre insicurezze. Un’amica mi ha illuminato, dicendomi che questa non è come le altre esperienze di volontariato e ha colto il cuore di questa esperienza: il Progetto Betlemme ci apre verso le marginalità sofferenti della nostra società opulenta e benestante, scoprendone i lati più oscuri e devastanti ma, soprattutto, aiuta a costruirci come comunità, spinge verso le radici dell’incontro, costringe all’essenziale, ci guida in un percorso di conoscenza di noi stessi attraverso un Altro, che ci scava dal di dentro e ci fa capire che siamo noi i veri bisognosi, i veri lebbrosi, i veri senzatetto.
Stamattina, tornando dal turno, mio marito mi ha raccontato che uno degli ospiti ha fatto dei doni agli altri e ha diviso con Franco il suo pacchetto di sigarette: che grande lezione riceviamo dai poveri! È davvero “necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro”.
Maggiori informazioni sul Progetto Betlemme
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