Pubblicato il: 05/01/2022Categorie: Como città di Confine, News
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5 gennaio 2022 – Il “Progetto Betlemme”, l’accoglienza notturna temporanea per i senza dimora diffusa in alcune comunità parrocchiali della città di Como e comuni limitrofi, si consolida e in questo periodo invernale vengono offerti un letto caldo a 16 persone in 7 località.
Il “Progetto Betlemme” è stato lanciato dalla Caritas diocesana di Como e, in particolare, dal servizio Porta Aperta sin dal 2020, al fine di ampliare l’offerta dei dormitori e delle strutture già esistenti nel periodo dell’Emergenza Freddo.
L’accoglienza vede coinvolti oltre 170 volontari che, alternandosi tutti i giorni (alla sera e al mattino), permettono l’apertura e la chiusura dei locali organizzati per il riposo notturno.

Pubblichiamo di seguito la testimonianza di Stefania, volontaria della Comunità pastorale “Beata Vergine del Bisbino”.

 

«Grazie Gesù di averci donato il senso dimenticato della donazione di noi stessi all’altro»


Tutto è iniziato il 29 novembre 2021 quando siamo stati avvisati da don Gianpaolo, Barbara ed Enrico che il “Progetto Betlemme” sarebbe stato anticipato di qualche giorno a causa dell’arrivo del grande freddo.

Subito ci siamo confrontati fra volontari per ottimizzare al meglio il nostro agire secondo le indicazioni che Barbara ed Enrico ci avevano già anticipato sia in relazione agli orari di arrivo alla sera e di uscita al mattino sia alle preferenze per la prima colazione dei nostri ospiti.

Con grande emozione, unita a un sincero desiderio di conoscerli (sapevamo solo i loro nomi e i Paesi di origine, l’Algeria e la Tunisia), è iniziata così una delle più gratificanti e umanamente impagabili esperienze di volontariato presso i locali allestiti dalla Comunità pastorale “Beata Vergine del Bisbino” di Piazza Santo Stefano, sotto l’assistenza spirituale dei nostri parroci.
Ed è proprio scendendo dalle scale adiacenti alla chiesa parrocchiale che si arriva alla casa dei nostri ospiti, che finalmente incontriamo.

L’immediata sensazione è che ci stiamo aspettando l’un l’altro, perché da subito si instaura un’intesa fatta di solidarietà e soddisfazioni reciproche: al mattino, loro ti dicono che hanno dormito bene, al caldo, che hanno già fatto la doccia e che hanno messo tutto in ordine… noi allestiamo la prima colazione con caffè latte o caffè con biscotti e brioches; alla sera, ci confrontiamo volentieri insieme sull’andamento della giornata o sullo stato del Covid, commentando le immagini dei posti più belli dei loro Paesi di origine che scorrono sui loro cellulari.

Noi ci sentiamo subito arricchiti d’amore e considerazione, ci parliamo come se ci conoscessimo da anni e fossimo persone di famiglia che non si vedono da molto tempo, condividiamo l’amore e l’orgoglio per la loro bella terra e la storia nei secoli che accomuna i nostri Paesi.
Ascoltiamo i ricordi dei loro figli, che vanno a trovare quando possono, e loro ci chiedono con interesse dei nostri figli e nipoti.
Ci raccontano degli anni in cui hanno lavorato nel nostro Paese fino alla crisi del 2008, anno in cui il loro mondo è crollato. Non più lavoro, non più stipendio, non più contribuiti, quindi non più casa ma strada e mense e richieste di aiuti. Sono passati dall’autonomia alla dipendenza, entrando nella vita del chiedere, nella libertà di esistere se gli altri se ne accorgono… sanno che senza Caritas, e tutta la grande rete di associazioni e volontari italiani, forse non sarebbe stato possibile per loro sopravvivere. Quindi, conoscono la gratitudine anche se non tutti riescono sempre a superare la rabbia di trovarsi in quelle condizioni. In più, a volte riaffiora il carattere genetico che li vedeva capofamiglia, figure responsabili di mariti e padri educatori di figli, apprezzati lavoratori.

Il tempo scorre ed è ora di salutarli.
Usciamo sentendoci migliorati, carichi di benessere umano, più leggeri e soddisfatti, più sereni di prima, ma non riusciamo a smettere di commuoverci… e subito realizziamo che siamo nello stesso mondo di prima, quello che ci sembrava pieno di problemi quasi insormontabili e ci domandiamo: ma chi ha ricevuto di più?

E riscopriamo che dare significa ricevere, capiamo che abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato, che ci rende felici sapere che hanno una casa dove andare tutte le sere, dove c’è caldo, cibo e sicurezza. E che ci dà gioia e conforto sapere anche che la loro giornata “fuori” sanno come organizzarla in sicurezza, ma che alla sera hanno un luogo e delle persone che li attendono e gli sono amiche e che la loro vita scorre più tranquilla.
Sentiamo che dobbiamo amarli di più, che dobbiamo capire che Gesù è lì con loro e con noi e che dobbiamo sentirLo in ogni momento, realizzando l’immensa Sua presenza e la gioia infinita del Suo amore che ci conforta con un’infinita commozione del cuore.

Grazie Gesù di averci donato la possibilità di rivivere un Natale vero, quello dell’amore verso tutti, quello che mette in campo l’attenzione ai bisogni dell’altro, che si accorge di chi ha bisogno di aiuto e desidera condividere con lui la sua sofferenza e contribuire a lenirgliela.
Grazie Gesù di averci donato il senso dimenticato della donazione di noi stessi all’altro, offrendoci la possibilità di servirti con generosità.

Ma chi ha dato di più? Lo scambio è stato stupendo e reciproco, il loro abbraccio ci ha dato gioia e serenità, anche la bellezza del paesaggio ci ha sorpreso in modo più intenso… tutto prendeva senso, tutto era migliore perché l’amore del Signore era lì con noi. Perché, come cita Papa Francesco nella sua Enciclica sociale Fratelli tutti, “Siamo tutti sulla stessa barca. Ogni persona è mio fratello. In ciascuno vedo riflesso il volto di Dio e in quanti soffrono scorgo il Signore che chiede il mio aiuto. Lo vedo nel malato, nel povero, nel disoccupato, nell’emarginato, nel migrante e nel rifugiato: tutti fratelli e sorelle”.

La volontaria Stefania

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