16 dicembre 2011 – “Avvento tempo di attesa”, questa frase potrebbe sembrare retorica: siamo ancora coscienti di chi, di cosa attendiamo o il nostro attendere ci fa adeguare alla liturgia del mondo, ci guida e ci fa percorrere le strade del consumo sfrenato, del possesso di cose, ma anche della vita delle persone, del godimento personale?
La nostra vita diventa sorda a chi davvero sta venendo tra di noi e che ci vuole richiamare all’ essenzialità che è apertura, che è dono agli uomini.
A questo attaccamento alle presunte certezze mondane non sfuggono purtroppo anche le nostre comunità, che si stanno adeguando ai riti che la società dei consumi ci propina. Ci stiamo dimenticando cosa vuol dire attendere, ci stiamo condannando a una sordità e ad una durezza di cuore che parte dall’interno delle nostre comunità, abbiamo perso la dimensione della fratellanza vera.
Avvento è anche tempo di speranza e questa speranza ci è data da Cristo che ha scelto di venire in mezzo a noi.
La sua è una scelta non rumorosa, non visibile al mondo distratto da tante cose, che si fa strada in modo silenzioso, in punta di piedi, chiedendo permesso, bussando in modo sommesso, ma insistente alla nostra porta, che il più delle volte resta desolatamente chiusa.
Cristo ha scelto la strada più difficile per raggiungerci, quella di diventare uno di noi. È ben consapevole che la strada che ha deciso di percorrere non è piana, ma si inerpica su montagne ripide e piene di pericoli: l’indifferenza, l’arroganza, la cupidigia, l’invidia, l’avarizia, la chiusura all’esperienza di vita degli altri, di chi è diverso da noi, da chi è straniero, emarginato, profugo, carcerato, ammalato, portatore di handicap.
Questo suo atteggiamento ci deve aiutare a riflettere e a prendere il coraggio per aprire la porta della nostra vita, che è solitamente sbarrata, non solo a Lui, ma anche ai fratelli, specialmente quelli in difficoltà.
L’attesa, quindi, diventa tempo operoso per la nostra vita, non tanto in azioni da compiere, ma in recupero di senso da dare alla nostra esistenza.
L’attesa diventa innanzitutto ascolto: ci apre alla Parola ascoltata, letta e meditata, ma anche alla parola che diventa vita, che ci parla attraverso la vita di tante persone che incontriamo e che ci fanno confrontare con esperienze belle, ma anche faticose.
Diventa condivisione comunitaria della sua venuta nella celebrazione della Eucaristia domenicale, casa comune di tutti noi attorno a Lui che si dona completamente a noi.
L’attesa diventa dono, riconoscimento reciproco di questa ritrovata condizione di fratelli, di figli dello stesso Padre, che si concretizza nel saper condividere soprattutto le fatiche della vita.
Don Mazzolari
“Ecco sto alla porta e busso…”
Egli non viene né per onorare il suo nome né per salvare la sua dignità:
viene per chi sta dietro la porta chiusa.
E chi sta dietro la porta chiusa?
Io ci sto: in tanti ci stanno: ci sta il mondo:
il quale mi sembra ancor più sprangato in questo Natale…
Da secoli, non da decenni , Egli attende…
Ma anche se tardasse un po’…, aspettatelo:
Egli verrà e lo vedrete tutti e ne godrà il vostro cuore
poiché Egli viene a portare la pace al suo popolo
e a restituirgli la vita.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
Condividi questo articolo
Continua a leggere