10 ottobre 2016 – A circa tre settimane dall’apertura del campo di accoglienza profughi di via Regina a Como, dove pernottano ormai in modo stabile oltre 250 persone, è d’obbligo fare il punto di un’esperienza che è iniziata, come si ricorderà, a luglio e che – tra grandi slanci solidali, mobilitazione virtuosa di enti, associazioni e centinaia di volontari, nonché qualche inevitabile polemica e varie strumentalizzazioni – si è consolidata e stabilizzata e sarà attiva anche nei prossimi mesi.
Mesi che, lo ricordiamo, potrebbero essere verosimilmente altrettanto impegnativi sul fronte di nuovi arrivi e quindi dell’accoglienza sul territorio comasco.
Si parlava di punto della situazione. Ebbene, la prima riflessione è positiva.
Tante persone di “buona volontà” – pensiamo per esempio all’esperienza della mensa solidale di Sant’Eusebio – enti, associazioni, gruppi di volontariato si sono prontamente attivate con generosità e si sono messe a disposizione per aiutare queste persone (uomini, donne, minori). Tutto ciò in una fase di estrema emergenza. Oggi, questo “volano virtuoso” non deve fermarsi. Anzi, iniziative e progetti di socializzazione e accoglienza sono già stati pensati per proseguire in questo cammino di solidarietà.
Tuttavia, mi preme sottolineare un aspetto che considero fondamentale. Questa importante esperienza ha messo in evidenza una “povertà” dei nostri tempi, cioè l’incapacità di saper lavorare insieme su un progetto comune. Spesso, infatti, ogni singolo volontario, oppure un gruppo, un ente, un’associazione… avevano un personale progetto di lavoro, ma difficilmente vi era la capacità o l’intenzione di collaborare insieme per accordarsi e interagire con un unico fine. Un esempio banalissimo? Spesso era impossibile accordarsi sul menu da distribuire quotidianamente ai migranti.
Questo individualismo imperante – che si manifesta anche nelle scelte sociali e politiche a più livelli – va superato senza indugio, proprio per proseguire nei prossimi mesi in questa azione di accoglienza sul territorio.
E poi – lasciatemelo dire – basta con le critiche sterili e fine a se stesse. Basta con le strumentalizzazioni o la cattiva informazione.
Anche queste dinamiche fanno parte dell’individualismo di cui sopra.
Tutti, invece, dobbiamo essere corresponsabili della vita di questi nostri fratelli. Nella vita di tutti i giorni, nelle scelte quotidiane, nello sforzo di cambiare modi di pensare e vedere noi stessi e gli altri.
Se non facciamo questo sforzo culturale e di fede rischiamo di perdere questa importante battaglia e tutto ciò che di bello abbiamo costruito rischia di essere vanificato per sempre.
Detto questo mi permetto di suggerire qualche consiglio pratico.
L’emergenza dei migranti accampati davanti alla stazione San Giovanni è finita. E con essa anche alcuni servizi di supporto attivati in città.
Oggi è operativo un campo di accoglienza che, grazie alla Croce Rossa provinciale, alle istituzioni e all’aiuto della Caritas diocesana sul fronte della consulenza legale, accoglie queste persone offrendo loro un alloggio, pasti caldi, vestiti e altri servizi fondamentali come l’assistenza sanitaria.
Ma l’accoglienza e la vicinanza devono essere fatte di altro.
Parlo di una progettualità per ogni persona, che passa attraverso servizi e opportunità che vanno organizzati e incentivati in brevissimo tempo: insegnamento della lingua italiana, corsi di formazione professionale, conoscenza del territorio, gestione del tempo libero e così via.
Il “volano virtuoso” dei circa 600 volontari impegnati nei mesi scorsi non deve fermarsi e la Caritas cittadina, a questo proposito, è disponibile a confrontarsi e a indirizzare al meglio tutte le proposte e iniziative che vanno in questa direzione. Anche perché, come detto prima, un volontariato strutturato, cosciente e coerente può essere l’arma vincente per le prossime battaglie.
E, dietro l’angolo, presto ci attende un’altra sfida: l’emergenza freddo in città. Quest’anno questa “battaglia” potrebbe essere più impegnativa degli ultimi anni. Sia perché la presenza dei migranti non va sottovalutata, sia perché la grave emarginazione e la povertà colpiscono anche i cittadini comaschi.
E in maniera sempre più evidente.
Allora, rimbocchiamoci tutti le maniche.
Insieme possiamo farcela.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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