5 aprile 2016 – La “Carta dell’accoglienza dei richiedenti asilo” è lo strumento delle “buone prassi” da mettere in atto nel complesso lavoro per ospitare i migranti. Ma non solo.
Questo documento mette nero su bianco gli obiettivi di formazione e di integrazione per questi uomini, donne e bambini che giungono sul nostro territorio fuggendo dalla fame e dalle guerre.
Personalmente colgo con favore la sua realizzazione e auspico che possa essere di aiuto anche a tutte le persone – operatori, volontari, parroci – che si impegnano ogni giorno in questo delicato ambito sociale.
Ci troviamo a vivere in un momento storico di grandi cambiamenti legati a una crisi politica mondiale che poi si traduce, nella quotidianità, in una profonda crisi sociale ed economica che sta generando, accanto alle povertà tradizionali, nuove fasce di povertà.
Vorrei davvero rimettere al centro della nostra attenzione non tanto la capacità di vivere azioni di carità, quanto la necessità di accogliere e di riconoscere le persone che ci avvicinano in cerca di aiuto.
Il primo obiettivo della Caritas è, quindi, di riconoscere e di aiutare la comunità cristiana e la comunità del nostro Paese a guardare in faccia i poveri; anzi, a lasciarci guardare, a lasciarci coinvolgere da loro. Abbiamo tanto da ricevere, soprattutto in umanità, da chi noi riteniamo ultimo, scarto della società, perché non rientra nei parametri di consumatore di beni ma in quelli di fruitore dei nostri scarti, delle nostre eccedenze.
Il secondo obiettivo è quello di camminare accanto a loro per ricercare assieme un inserimento attivo nella quotidianità delle nostre comunità, agendo attraverso tutti i canali che abbiamo a disposizione.
Quelli interni alla comunità cristiana – parrocchie, gruppi ecclesiali, congregazioni religiose – che spesso per paura, per egoismo o per mancanza di speranza si sentono inadeguati e incapaci di affrontare e di accogliere queste persone. Quelli esterni alla comunità cristiana, che passano dalla politica nazionale e locale, dal mondo della finanza e produttivo e da tutto il variegato mondo del sociale pubblico e privato.
Tutte queste espressioni della nostra società stanno vivendo una grossa fatica di senso, perché hanno perso l’obiettivo del loro agire, non si sono resi conto che diventando autoreferenziali nella loro azione hanno fallito la loro missione. E la causa di questo fallimento è stata la perdita dell’obiettivo per cui esistono: aiutare l’uomo a raggiungere – attraverso la sua vita – la dignità di persona che, usufruendo dei diritti fondamentali di libertà di pensiero, economica e religiosa, gli permetta di essere componente attiva della società.
Come sappiamo, una delle ultime povertà affrontate dalla Caritas di Como, in sintonia con le Caritas delle altre Diocesi italiane, è quella che sta portando nel nostro Paese e in Europa centinaia di migliaia di persone che sfuggono dalla loro patria a causa di problemi politici o economici e che noi per comodità abbiamo classificato come profughi o migranti. Anche sul nostro territorio diocesano questo flusso è costante e sta diventando un fatto strutturale.
Credo sia pura miopia cercare di sottovalutare e di nascondere la reale portata di questo fenomeno.
Nella nostra Diocesi, accanto a numerose e belle esperienze di accoglienza messe in atto da tante comunità parrocchiali, cooperative e case religiose, purtroppo ci sono ancora troppi benpensanti che, nascondendosi dietro la paura generalizzata che stiamo diventando “terra di conquista”, si lasciano affascinare da idee razziste e chiudono le porte del loro cuore – ma anche le porte concrete delle loro comunità – a chi bussa in cerca di aiuto e di solidarietà.
Questo sta succedendo a “macchia di leopardo” nella nostra realtà diocesana e paradossalmente le chiusure arrivano proprio da quelle comunità che non stanno compiendo un cammino di fede e di ricerca della verità che rimettono al centro della vita personale e comunitaria Cristo, ma ancorano il loro agire su tradizioni che di cristiano non hanno più nulla e che stanno svuotando di senso la vita stessa delle comunità.
Allora, per sostenere chi sta vivendo l’esperienza dell’accoglienza – la stessa realizzazione della “Carta” va in questa direzione – e per aiutare quelle realtà che sono restie ad aprirsi agli ultimi e agli emarginati, il compito che ci siamo assegnati come Caritas è di testimoniare la verità che passa attraverso la condivisione di tutte le esperienze di vita che questa accoglienza comporta, quelle belle ma anche quelle faticose, proprio per mettere al centro quel Dio che si rende visibile e concreto accora oggi nella Storia, attraverso le scelte di impegno e di servizio che la sua Chiesa compie a favore di chi è ultimo e emarginato.
Roberto Bernasconi, direttore della Caritas diocesana di Como
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